Galles, Inghilterra e Francia sì, Irlanda e Italia nì, Scozia no: il borsino del Sei Nazioni 2018

La foto ufficiale dei capitani del Sei Nazioni 2018
di Christian Marchetti
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Giovedì 8 Febbraio 2018, 19:14
In appena un turno giocato, in tutto 240 minuti di rugby come Dio comanda, il Sei Nazioni 2018 ha già detto tanto. O forse ancora nulla, visto che il sontuoso Inghilterra-Galles che si prepara sabato 10 febbraio a Twickenham potrebbe scrivere la prima pagina importante, forse addirittura sorprendente. Comunque sia, quanto gustato nel week end scorso ha confermato le impressioni della vigilia ma anche regalato imprevisti. Come la batosta degli Highlanders o l'impresa dei garçon transalpini sfumata all'ultimo respiro.

INGHILTERRA    
Per il secondo anno di fila, il XV della Rosa (2° nel ranking mondiale) è condannato a stravincere. L'armata di Eddie Jones non teme l'ansia da prestazione, ma dopo il Grande Slam del 2016 e il quasi-Grande Slam di un anno fa (tra i Bianchi e la gloria leggendaria del doppio en plein ci si è messa quella guastafeste dell'Irlanda), e dopo aver eguagliato il record di 18 vittorie consecutive come gli All Blacks, vogliono lasciare il mondo a bocca aperta.
Manca Billy Vunipola? Manca anche il suo sostituto Nathan Hughes? Beh, a Roma al suo posto ha giocato Sam Simmonds capace di provocare incubi agli azzurri, placcando, correndo e - tanto per gradire - segnando. Questa è la grandezza dell'Inghilterra: la capacità a ogni match di presentare, tra campo e panchina, 23 giocatori di lusso sopraffino. 

IRLANDA
Sono esperti, sono quadrati e, sulle spalle, è come se avessero spalmato una sorta di supercolla che gli rende impossibile togliersi la maglia. Sono gli irlandesi (terzi nel ranking mondiale) del confermatissimo (pure lui) Joe Schmidt che promettono anche quest’anno di mettere il fiato sul collo dell’Inghilterra, soprattutto dopo lo scherzetto dell’anno scorso.
Ne sa più di qualcosa la povera Francia dell'ex ct azzurro Brunel. Nella sfida coi Bleus dello scorso fine settimana è stata in grado di ribaltare il punteggio strutturando un'azione da 42 (quarantadue!) fasi e consentire poi al preciso Jonathan Sexton di sparare un drop dal parcheggio dello stadio. Fantascienza e una vera e propria dichiarazione di guerra da consegnare all'Italia, prossima avversaria.  

GALLES 
Otto. Tanti sono i giocatori di primo piano costretti a dare forfait, trasformando il Galles (risalito al sesto gradino nel ranking mondiale) in una truppa incerottata. Problemi su problemi, sebbene Warren Gatland ostenti ottimismo in tutte le sue uscite pubbliche. Il ct è rientrato a tempo pieno nel quartier generale dei Dragoni dopo la bella parentesi con i British & Irish Lions, la selezione dei migliori rugbisti delle Isole Britanniche reduce dalla tournée in pareggio in Nuova Zelanda.
Bene, contro la Scozia non si è vista traccia di quei problemi. La grandezza di Gatland è appunto quella di trovare, in brevissimo tempo, e anche a partita in corso, la soluzione migliore, talvolta la più sorprendente. Risultato: Highlanders spazzati via e quella sfida di Twickenham citata in apertura che sa già di spareggio per la vittoria finale.

SCOZIA
Un metro di paragone per giudicare l’attuale stato di forma della Scozia, settima nel ranking mondiale? L’Australia, sconfitta sia a giugno a Sydney(!) sia a novembre con 50 punti all’attivo(!!), ma poi la brutta scivolata a Cardiff. Cambia il timoniere – Vern Cotter che lascia spazio a Gregor Townsend – ma la nave potrebbe presto tornare a gonfie vele. Perché, signore e signori, ko dai Dragoni a parte, la Scozia dello spareggio per evitare il Cucchiaio di Legno contro l’Italia è a dir poco sbiadito ricordo. L’ultimo cucchiaio risale al 2015, poi due volte quarta e offrendo rugby spettacolo come non se ne vedeva da tempo a Murrayfield.
Deve ritrovare i suoi punti fermi. Deve tornare ad avere risposte convincenti da elementi come Stuart Hogg, o dalla mediana dove per ora domina la staffetta Price-Laidlaw. L'orgoglio - come dimostra la meta di Horne in Galles - invece non manca mai.  

FRANCIA
Funzionerà la cura Jacques Brunel dopo il burrascoso allontanamento di Guy Novès (galeotto fu, a novembre, il 23 pari con il Giappone)? Giornalisticamente parlando è una delle storie del Sei Nazioni 2018 più interessanti da scrivere: il baffuto ex allenatore azzurro, da dicembre sulla panchina dei Bleus decimi nel ranking mondiale, chiamato a raccogliere i cocci di quel tecnico che è un po’ la sua nemesi. In mezzo ci sono i tanti giovani nei ruoli fondamentali, ma anche troppe polemiche extra-rugby come nella peggiore tradizione transalpina. La squalifica di Bastareaud per insulti omofobi alla vigilia del Championship è stata la "ciliegina" su una torta indigesta.
Eppure, se sabato scorso avesse vinto contro l'Irlanda non avrebbe rubato nulla, anzi. Ma l'esperienza non si inventa dall'oggi al domani e, in mediana, reparto in cui Brunel le sta pensando tutte, Machenaud non è stato la chioccia giusta per Jalibert.

ITALIA
Facendo due più due, qualcuno potrebbe pensare a Francia-Italia (si giocherà il 23 febbraio, in notturna, a Marsiglia) come un derby latino per scongiurare un posto nell'inferno dei cucchiai di legno. "Io voglio vincere, voglio vincere sempre", dichiara il ct azzurro Conor O'Shea, ma in questo momento è più interessato alla crescita dei giovani e alla sua volontà "di cambiare il rugby italiano". Parlando però al contempo di uno stato di forma non ancora al 100%.
L'Italia quattordicesima nel ranking resta un cantiere aperto che all'Olimpico non poteva affondare l'Inghilterra ma che, da novembre, sta costruendo la sua personalità. Assieme ai vertici federali, O'Shea lavora sulla profondità e questa non sembra essere una chimera soprattutto per quanto concerne la terza linea, guidata come di consueto dal capitano Parisse. In seconda c'è invece un ritrovato Zanni. Il reparto arretrato sta cercando una sua fisionomia, ed è almeno quanto accade in cabina di regia dove il tecnico irlandese continua a dare fiducia a Violi in luogo di Gori, decisione che si sta rivelando interessante. La notizia, rispetto agli anni scorsi, è che gli azzurri possono contare su due aperture giovani e di buon livello e con un McKinley in più. Quest'ultimo, però, in quella Dublino che l'ha visto nascere, non ci sarà. Per l'altro irlandese O'Shea è stata allora una scelta coraggiosa. Una delle tante di questo Sei Nazioni azzurro.
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