Rugby, l'ira del capitano Parisse ai Mondiali in Giappone: «Decisione inaccettabile, non smetto con l'azzurro». Il ct O'Shea: «Sarò al Sei Nazioni»

Sergio Parisse e Conor O'Shea
di Paolo Ricci Bitti
8 Minuti di Lettura
Giovedì 10 Ottobre 2019, 16:42 - Ultimo aggiornamento: 17:33

dal nostro inviato
TOYOTA «É inaccettabile - tuona Sergio Parisse, il capitano della nazionale di rugby - Se la partita fosse stata importante per la Nuova Zelanda di sicuro avrebbero trovato una soluzione diversa dalla cancellazione. Figuriamoci se non capisco le questioni legate alla sicurezza per l'arrivo del tifone Hagibis, ma è possibile che in questi anni non sia stato pensato un piano B per salvare le partite allestite in Giappone in questa stagione (estate inoltrata, ndr) in cui i tifoni non sono rari? Non si sentiamo rispettati: saremmo stati pronti a giocare prima o dopo la data prevista, in un altro stadio, a porte chiuse, in un campetto: amiamo giocare a rugby». Sguardo duro, tono fermo, nessuna diplomazia: rarissimo vedere Parisse così infuriato. 

Rugby e meteo, Italia - Nuova Zelanda cancellata per il tifone Hagibis: Mondiali in Giappone stravolti. L'ira del capitano Parisse, le lacrime di Ghiraldini

Il leader degli azzurri  infiamma la più raggelante conferenza stampa nella storia del rugby italiano. Del resto non esistono precedenti alla cancellazione di Italia-Nuova Zelanda, sabato a Toyota e di Inghilterra-Francia, stesso giorno a Yokohama, che dovrà stabilire la gerarchia della poule e quindi la griglia degli ottavi di finale. A rischio anche la determinante Scozia-Giappone prevista domenica sempre a Yokohama (la decisione sarà presa domenica mattina): se non si gioca gli scozzesi tornano a casa e i giapponesi, scampati a un match dal risultato assai incerto, avanzano per la prima volta nella storia alla fase successiva del Mondiale allestito per la prima volta in un paese asiatico.
 



Al secondo piano dell’anonimo Toyota Castle Hotel i toni delle voci, Parisse a parte, sono da veglia funebre: mai ci si è trovati in una situazione del genere. Il ct Conor O’Shea avrebbe dovuto annunciare la formazione con cui affrontare gli All Blacks nello stadio a pochi passi, uno stadione con persino il tetto retrattile. A fianco a lui Parisse: davanti hanno il manipolo di cronisti italiani, alcuni reporter neozelandesi e gli immancabili giapponesi.


Ma non è solito schema dell’annuncio della formazione: uno alla volta, nel grande salone che serve anche da refettorio, sempre parlando a bassa voce, si avvicinano altri azzurri: Allan, Campagnaro, Negri, Sisi, Tebaldi. Voglio sentire che cosa diranno il ct e il capitano, vogliono in realtà stare insieme in un momento venato dall’amarezza e dalla delusione. Fin da bambini sognavano di partecipare al Mondiale, da mesi si allenano senza sosta, ritiro dopo ritiro.

Poche ore prima la squadra si stava allenando sotto il sole, si stava bene anche a torso nudo, in un piccolo impianto quando alle 12 (le 5 in Italia) è arrivata la mazzata: partita cancellata. Impietriti gli azzurri: il ct O’Shea ha chiamato intorno a sé i giocatori e lo staff e con un filo di voce ha dato la notizia della decisione di World Rugby (la Fifa del calcio) e del comitato organizzatore al termine di un rapido meeting in cui son o stati messi a confronto i modelli meteo più avanzati: il direttore del torneo, Alan Gilpin, di World Rugby, davanti alla telecamere stava da una parte, molto a lato i rappresentati del comitato organizzatore giapponese, a testimoniare un evidente imbarazzo. 


Non era mai accaduto nella storia dei Mondiali e la decisione  è destinata a innescare pesanti strascichi che arriveranno fino al governo di Abe Shinzo: il prossimo anno il Giappone, che è il primo paese asiatico ad accogliere i Mondiali di rugby finora sempre allestiti in nazioni storicamente ovali, ospiterà le Olimpiadi e questa debacle organizzativa, per quanto motivata dal maltempo, non mette certo in buona luce i nipponici, comunque sin qui impeccabili nel gestire il loro primo mondiale. Il Times ha già scritto che questo pandemonio dimostra che il Giappone non avrebbe dovuto avere il Mondiale.

ROMA E GENOVA
Per dire, nel 2012 e nel 2013 i match Italia-Inghilterra (Sei Nazioni) a Roma e Italia-Argentina (test match) a Genova vennero giocati grazie all'impegno degli organizzatori nonostante una storica nevicata sulla Capitale e la durissima alluvione in Liguria (in quest'ultimo caso la partita venne anticipata di un giorno).


Da sinistra la delusione sui visi degli azzurri Negri, Campagnaro, Allan e Sisi


Le motivazioni delle cancellazioni delle partite, con la determinante Scozia-Giappone di domenica in forse, indica “ragioni di sicurezza e pubblica incolumità”.

Da venerdì sera nella parte centrale del Giappone è atteso dalle Filippine il tifone Hagibis ("entità che viaggia rapidamente e rumorosamente", nella lingua delle Filippine, appunto). Una situazione che rischia di coinvolgere anche il Gp di Formula 1 a Suzuka. A inizio settembre, con le squadre già sbarcate in Giappone, il tifone Faxai arrivò a tiro della zona dove si trovava l'Inghilterra: nel paese si contarono allagamenti e anche una vittima. Al tempo stesso i giapponesi non fanno una piega in questi frangenti: sanno che al più devono restare a casa. Sempre in settembre i voli e i treni cancellati furono una manciata. E' un nazione, il Giappone, abituato a convivere con terremoti e severo maltempo.

«Appunto, che il tifone arrivasse si sapeva - sbotta ancora Parisse - credo che meritassimo più rispetto e lo dico soprattutto per i più giovani più che per me e Alessandro (Zanni) e Leo (Ghiraldini), che da tanti anni onoriamo la maglia della nazionale. Ogni rugbysta sogna di affrontare gli All Blacks. Comunque non sarà questo tifone a fermarmi, sono pronto ancora a servire l'Italia e comunque state certi che sarà un tifone a fermarmi, non voglio chiudere in questo modo la mia vita in azzurra: ho voglia ancora di servire la nazionale. E non sopporto chi dice che tanto con gli All Blacks avremmo perso, è ignobile sostenere che una partita con la Nuova Zelanda è inutile».

Nuova Zelanda che, per inciso, si è opposta allo slittamento a domenica perché avrebbe perso un giorno di riposo. Meglio non commentare. 


In altre parole il 36enne condottiero dopo 17 anni in azzurro non vuole ancora mollare la squadra: lo attende insomma un altro Sei Nazioni.

Del resto lo stesso ct, che ha costruito il suo quadriennio sul rapporto anche di stima e amicizia con Parisse, aveva detto poco prima sempre tenendo la voce al minimo: “Se la federazione mi vuole ci sarò anche al Sei nazioni”.

Solo dopo, come recita anche il contratto che ipotizzava altri quattro anni, il ct irlandese lascerà l’Italia “per motivi di famiglia”. L’irlandese era fra i più avviliti della cancellazione del match di sabato: contava, come i giocatori, di dimostrare che il lavoro iniziato nel 2016 ha dato frutti e non gli va certo di chiudere dopo un mondiale poco appassionante: una vittoria scialba contro la Namibia, un’altra brillante con il Canada e solo un tempo con il Sudafrica all’altezza dell’impegno. Troppo poco al di là del fatto che dal punto di vista degli annuari il mondiale si chiude come sempre: due vittorie di prammatica, qualificazione automatica al prossimo mondiale  e niente accesso ai quarti.

Si era anche detto che se il Mondiale fosse andato peggio del solito (circostanza assai remota come quella che andasse meglio del solito) O'Shea avrebbe potuto lasciare prima nazionale. 

«Adesso non me la sento di fare un bilancio, sono deluso e frustrato da quanto sta accadendo adesso: ci privano della possibilità di dimostrare quello che abbiamo provato per anni e in particolare durante una lunga preparazione estiva. Io sono convinto dei progressi che abbiamo compiuto, ma restiamo senza la possibilità di farlo vedere, che tristezza. La lista dei 23 che sarebbero scesi in campo: a questo punto è irrelevante».


La Federugby non l'ha mandata giù, anche perché le motivazioni della cancellazione, basate sì su un regolamento sottoscritto, si scontrano con tempi che non sembrano aver lasciato spazio alla ricerca di alternative: alle peggio si sarebbe potuto giocare a porte chiuse.

Sarà senza dubbio presentato un reclamo a World Rugby, danneggiata anche la Rai che aveva comprato i diritti delle partite dell'Italia e di altre 14 match.

La prima reazione della Federugby del presidente Alfredo Gavazzi, tirato giù dal letto ben prima dell'alba nella sua Calvisano da una raffica di telefonate, è comunque di comprensione della decisione. Ma il tempo di discutere con World Rugby arriverà.
«La sicurezza di giocatori, personale e pubblico - dice Gavazzi - è la principale priorità da considerare in questi frangenti.
Comprendiamo e accettiamo la scelta dell'organizzazione di assumere la determinazione più idonea alla tutela di tutte le parti in causa. Da Presidente federale e da uomo di sport comprendo il rammarico degli atleti e dello staff tecnico per non aver potuto sfidare i Campioni del Mondo in carica dopo aver lavorato in queste settimane con professionalità ed entusiasmo, rappresentando con fierezza il Paese ed il nostro movimento sul più prestigioso dei palcoscenici che il rugby possa offrire. La Federazione Italiana Rugby è vicina alle popolazioni delle zone interessate dal tifone Hagibis e auspica il minor impatto possibile su di esse
».

Chiusura con i ventenni Danilo Fischetti e Giusué Zilocchi, il primo esordiente, il secondo con due caps: chiamati lunedì in fretta e furia dall'Italia dopo gli infortuni di Ferrari e Riccioni stavano per coronare il sogno di giocare al Mondiale contro gli All Blacks. Invece la loro Coppa del Mondo, alla fine, l'avranno trascorsa più tempo in aereo che sul campo. Bisogna essere forti per sopportare una beffa simile.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA