Rugby World Cup, una parola giapponese e una frase sulla lavagna: ecco come nasce il predominio degli All Blacks

Rugby World Cup, una parola giapponese e una frase sulla lavagna: ecco come nasce il predominio degli All Blacks
di Paolo Ricci Bitti
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Sabato 31 Ottobre 2015, 06:37 - Ultimo aggiornamento: 06:44
LONDRA - Una parola (”Kaizen”) e una frase ambigua scritta sulla lavagna (”Siamo la squadra più dominante nella storia del mondo”) per spiegare il fenomeno All Blacks, la più forte squadra di rugby di tutti i tempi. Una parola giapponese (ma di ispirazione, strano ma vero, americana) e un frase che può essere intesa come un’arrogante affermazione oppure come una nobile aspirazione.

Insomma, perché la Nuova Zelanda è graniticamente in testa al ranking mondiale dal 16 novembre 2009 (due giorni prima faticò con l’Italia a San Siro, ricordate?) viaggiando oltre il 90% di successi con strisce di 17 vittorie consecutive e di 22 risultati utili in fila, passando per la conquista di una Coppa del mondo e di cinque su sei edizioni del Tre/Quattro Nazioni? E di nuovo in finale nei Mondiali in Inghilterra. Non risultano, a livello di squadre nazionali, altri esempi di questa caratura, giacché il Dream team del basket Usa non appare con continuità sui parquet, così come fa storia a parte il baseball americano.

IL PREDOMINIO
Tutto, o quasi tutto, di questo annichilente predominio rimarcato da questa coppa del mondo, nasce dal più lungo dopopartita mai allestito per leccarsi le ferite, perché, per quanto la memoria faccia fatica a ricordare, di tanto in tento anche la Nuova Zelanda ha attraversato periodi - vabbeh, diciamolo - neri. Allora, per tre giorni e per tre notti, nel 2004, dopo un amarissimo ko per 40-26 rifilato dagli arcirivali Springboks, Graham Henry, Tana Umaga e Richie McCaw si chiusero in una casa a Wellington per capire come gli All Blacks fossero caduti così in basso. Ve li immaginate il preside-ct, il capitano-pilota di alianti e il centro-rasta a scorticarsi l’anima fino ad arrivare alla sintesi delle sintesi, come racconta lo scrittore kiwi James Kerr nel libro “Legacy, 15 lesson in leadership”, frutto di oltre un mese trascorso intruppato 24 ore su 24 con la comitiva con la felce sul petto.

KAIZEN
Sintesi assaoluta, una parola: Kaizen ovvero Kai e Zen ovvero “cambiamento” e “meglio” ovvero, anche se non alla lettera: “migliorare di continuo”. I giapponesi, nei durissimi anni del dopoguerra, ne hanno fatto il loro credo per tirare su il paese e quindi conquistare commercialmente il mondo a suon di tecnologia, ma ad insegnarglielo sono stati gli ex nemici americani pescando tra i fondamenti del fordismo.

Senza farla troppa lunga, tutti gli All Blacks raccontano che se è terribilmente difficile conquistare la maglia della nazionale, lo è mille volte di più riuscire a conservarla, considerato il numero di diavoli che ti soffiano sul collo. Allargato alla squadra, il concetto è quello di riuscire a confermarsi al vertice, sfatando il luogo comune (o realtà, fate voi) che vuole lo sport, di squadra più ancora che individuale, contrassegnato da cicli.

Quindi migliorarsi sempre, imparando prima di tutto dagli errori. Owen Slot, capo del rubrica del Times, racconta della mano del ct Steve Hansen che si alza di continuo durante un’intervista di tre anni fa per spiegare la necessità di alzare costantemente il livello del gioco, dell’impegno, della dedizione, del considerarsi (giocatori titolari e riserve, tecnici e dirigenti) un’unica cosa. Una convinzione rafforzata da esplorazioni di Hansen anche nel mondo del calcio per capire le realtà di, ad esempio, Spagna e Manchester.

UMILTA'
Umiltà, eccellenza e rispetto – quindi - per costruire uomini migliori che compongono una squadra capace di migliorarsi di continuo. La pasta di un All Black deve contenere questi tre elementi e, se non stupisce l’eccellenza, fanno riflettere l’umiltà e il rispetto che devono avere nell’anima i migliori del mondo.
In realtà sono i migliori del mondo appunto perché, oltre all’eccellenza, gli All Blacks vivono con umiltà e rispetto non concedendosi alcuna sbavatura, vedi l’immediata sospensione, due anni fa, del ritardatario Cruden che non aveva sentito la sveglia per aver alzato troppo il gomito.


Umiltà, eccellenza e rispetto sono del resto i termini più usati (lo ha scoperto la Saatchi&Saatchi, tra le più importanti agenzie pubblicitarie del mondo) per individuare il brand All Blacks, tra i cinque più conosciuti sul Pianeta.

L'EREDITA'
Pensate allora al compito che si è caricato sulle spalle il ct Hansen raccogliendo l’eredità di Henry: vincere di nuovo la Coppa del mondo come mai è riuscito ad alcuno. Con umiltà, rispetto ed eccellenza Graham Henry e Richie McCaw, del resto, sono sopravvissuti alla bastonatura epocale della Coppa del Mondo 2007, sbattuti fuori dalla Francia ai quarti di finale.
E da allora che il concetto di Kaizen ha dato e dà i maggiori frutti (la coppa del mondo 2011 e il dominio del ranking), cosa che non accadde, ad esempio, a situazione ribaltata, al Sud Africa dopo il trionfo nel 1995. Nel paese Arcobaleno, appena due anni dopo, comparvero scritte in ogni dove: “Who can stand rugby anymore?” Chi può ancora sopportare il rugby (sottinteso: dopo tante sconfitte)?. E in tanti conclusero che fino a quando non sarebbe stata completata la sostituzione di tutti i campioni del mondo, gli Springboks non sarebbero tornati i più forti. Di eccellenza in quella squadra post mondiale ce n’era naturalmente tanta, ma di umiltà e rispetto assai meno.

MANDELA
Così come, in quella squadra adottata da Mandela, era venuta meno l’attenzione ai campanelli d’allarme che dovrebbero sempre suonare alle orecchie di chi ha raggiunto il culmine del successo.
Tra questi figurano: la sottovalutazione o la negazione dei rischi e dei pericoli; l’indisciplina di molti nel team; la tracotanza che deriva dalle vittorie, che è il primo elemento a minare le fondamenta di chi ha raggiunto il vertice, squadra sportiva, banca o multinazionale che sia, come è spiegato nel libro “Come cadono i più forti” di Jim Collins, che non è infatti un libro sullo sport.

LA LAVAGNA
Sì, ok, ma allora la frase “Siamo la squadra più dominante nella storia del Mondo” che cosa c’entra con gli All Blacks e con il concetto di Kaizen e con umiltà, eccellenza e rispetto? Ecco, nel novembre del 2013, durante la tappa inglese del tour autunnale, un cronista britannico un po’ distratto finì - senza volerlo, è chiaro - nella sala-riunioni dell’hotel della Nuova Zelanda, in quel momento deserta. Com’è come non è, sulla lavagna degli schemi campeggiava la scritta in questione.

“Uh, che arroganti questi All Blacks” titolarono i moderati media albionici. Apriti cielo: i neozelandesi andarono su tutte le furie spiegando (solo dopo aver chiesto di chiudere da lì in poi a doppia mandata e di sorvegliare le sale-riunioni) che quella dominante frase racchiudeva solo un’aspirazione e non certo una spocchiosa affermazione dopo il raggiungimento di un risultato. Dio non voglia: l’arroganza, non solo nello sport, è considerata una colpa grave tra i neozelandesi.

A questo punto però, dopo altri due anni in cui hanno incassato solo tre ko e subìto un pareggio, a che punto è quella dominante aspirazione? Hansen e McCaw, ne sono quasi sicuro, non hanno letto il dizionario Treccani, ma ci si specchierebbero: aspirazione, ovvero “il vivo desiderio di conseguire un fine nobile, o comunque legittimo, da parte di singoli individui, di nazioni, di gruppi sociali”. Al dotto elenco manca “degli All Blacks”, ma – ne sono sicuro - gli etimologi della Treccani volevamo inserirlo prima di constatare che non c’era più spazio nel lemma.

In quest’ultima Coppa del Mondo gli All Blacks sono sembrati ancora più forti, completi, fisicamente instancabili e strategicamente una spanna sopra tutti, pragmatici e concreti più che brillanti. Persino la sconfitta con l’Australia è stata inserita nelle voci in attivo, come un salutare scappellotto per non staccare troppo l’ombra da terra e per capire in quali settori del gioco migliorare ancora. Ptra l’Australia battere questi All Blacks a Twickenham? Scommesse a vostro rischio.
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