La capitana Furlan: «Vinciamo il Sei Nazioni e poi studio inglese»

Foto FAMA
di Christian Marchetti
3 Minuti di Lettura
Martedì 26 Febbraio 2019, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 22:40
Avete presente i popcorn in pentola? Ecco, il Sei Nazioni femminile è qualcosa di simile: dal 1996 al ‘98 “Home Championship”, con le sole britanniche a prendervi parte; dal ‘99 al 2001 “Cinque Nazioni”, con l’aggiunta della Francia; nel 2000 e nel 2001 con la Spagna al posto dell’Irlanda; dal 2002 Sei Nazioni, ma con la Spagna al posto dell’Italia. Poi, dal 2007, la formula attuale sul modello del torneo maschile. E l’Italia? In dodici partecipazioni è arrivata una volta terza (2015), in due occasioni quarta e in sole tre edizioni ultima. «Meglio dei maschi!», si esclama da più parti. Se non fosse che, a livello internazionale, il rugby femminile è piuttosto giovane. Sono appena 34 gli anni dell’Italdonne e in quei 7 lustri scarsi è riuscita a compiere passi da gigante. Tanto che, oggi, Manuela Furlan e compagne, le magiche ragazze di Andrea Di Giandomenico, sono al secondo posto del Sei Nazioni con due partite ancora da giocare.
Manuela Furlan capitana di una Nazionale che lotta per vincere il Championship. Come le suona?
«Benissimo. A proposito: scusi la voce, ma sabato sera ho urlato un bel po’».
Beh, dopo aver battuto l’Irlanda a Parma e aver agguantato quel secondo posto è il minimo.
«Abbiamo avuto un’ottima partenza con la Scozia. Non siamo riuscite a ripeterci col Galles (è venuto un pari, ndc), ma lì abbiamo posto le basi per la performance di sabato. Non è che all’inizio avessimo fatto pronostici. Semplicemente, con Andrea, analizziamo partita dopo partita la nostra prestazione e cambiamo in corsa».
Lei è nata 30 anni fa a Trieste, ma gioca a Villorba (Treviso). Conta 73 presenze, 5 da capitana. Dall’alto di questa esperienza, cos’è l’Italia del rugby femminile oggi?
«Andrea ci guida dal 2010, è riuscito a dare un’individualità a questa squadra. Man mano che qualcuna smetteva, ecco arrivare una ragazza ad amalgamarsi perfettamente. Ma il grosso del lavoro l’ha fatto lui, dandoci fiducia».
Andrea. E Manuela?
«Vediamo... Ho iniziato ad amare il rugby grazie a mio fratello più piccolo, Paolo. Piantai la pallavolo e allora un’ex azzurra, Elena Bisetto, amica di mia madre, mi propose di cominciare a giocare. Gioca anche mia sorella Giorgia. Nella vita lavoro per una ditta di logistica. Faccio un po’ tutto, anche guidare il muletto».
Non proprio lavoro di scrivania. Fa tutto da sola?
«Abbiamo a che fare anche con vagoni ferroviari, che non sono proprio il massimo da aprire. Io ce la metto tutta, se proprio non ce la faccio chiedo aiuto a due colleghi».
Single?
«Non parlo di queste cose».
E ti pareva. Certo che siete proprio riservate voi dell’Italdonne.
«Ma perché è una situazione strana, non siamo abituate a tutto questo clamore. Voi giornalisti chiamateci più spesso e metteremo da parte la riservatezza».
Touché. Tornando al lavoro, lei ha anche assaggiato il professionismo nell’Aylesford Bulls, In Inghilterra.
«L’ho assaggiato in quanto quella era davvero una struttura professionale. Nel frattempo lavoravo come cameriera. Inizialmente in un fast food italiano, dove non ho migliorato molto il mio inglese».
E con gli arbitri come fa?
«Mi sono ripromessa di frequentare un corso».
Un esame d’inglese anche il prossimo 9 marzo a Exeter.
«L’Inghilterra macina gioco, è la più in forma del torneo e hanno mischia e trequarti temibili. Sarà difficile arginarle. Detto questo, noi penseremo al nostro. Chi ha più da perdere sono loro».
Un consiglio ai suoi colleghi maschi azzurri?
«Nooo, dura questa. Io il consiglio lo do, ma ai tifosi: siate pazienti, c’è un lavoro dietro che darà buoni frutti. Sosteneteli».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA