Lea Pericoli, «Ottanta voglia di Tennis»:
la più grande tennista italiana compie gli anni

Lea Pericoli, «Ottanta voglia di Tennis»: la più grande tennista italiana compie gli anni
di Angelo Mancuso
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Domenica 22 Marzo 2015, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 14:16
«La mia è una fantastica avventura su questa terra». Nessuna frase potrebbe rappresentare meglio Lea Pericoli, signora del tennis italiano, che oggi compie 80 anni. La sua storia è un romanzo da film: della sua avvenenza (è stata Miss Cinema Cortina e Lady Milano) e delle sue culotte con sottoveste rosa si innamorò l'Italia.



E' nata a Milano il 22 marzo 1935, a 2 anni con la mamma Jole raggiunse il papà Filippo in Etiopia, dove il padre aveva una ditta di importazioni; Con lo scoppio della guerra e l'arrivo degli inglesi, il papà finì in un campo di concentramento, ma il Negus Hailé Selassiè lo liberò perché ai tempi delle repressioni del vicerè Graziani aveva salvato il cameriere personale dell'Imperatore. A 12 anni Lea fu spedita a Nairobi in collegio, poi sul finire della guerra il Kenya fu sconvolto dalla rivolta nazionalista dei Mao Mao e fece ritorno in Italia. Si è ritirata a 40 anni: tennista, giornalista, prima commentatrice donna di tennis in tv, scrittrice, conduttrice televisiva. Ha l'Africa nel cuore: ogni anno torna in Kenya.



Con il tennis è il grande amore della sua vita?

«In Etiopia mio padre mi fece un meraviglioso regalo: un campo da tennis in un magnifico bosco. E' lì che ho cominciato a giocare. Ero piccola e gracile: Addis Abeba è a 2400 metri e svenivo per la fatica».



Avrebbe potuto vincere di più? «Non ho rimpianti, è una dote di saggezza. Ho battuto 3 vincitrici di Wimbledon: Ann Haydon, Virginia Wade e Billie Jean King. Dovevo lavorare perché avevamo perso tutto in Africa, il tennis era un lusso. Sveglia alle 6.30, di corsa in Vespa all'Ambrosiano di Milano, poi alle 8.30 alla mia scrivania in Via Verri dove ero segretaria in una ditta di import export. Alle 12.30 di nuovo a giocare un paio d'ore per poi tornare in ufficio».



Era un altro tennis, giusto?

«Più romantico, ma se mi chiedessero in che epoca vorrei rinascere direi quella attuale. Ricordo il primo torneo open che ho vinto: 400mila lire, niente rispetto a oggi. Eravamo dei sognatori che giravano e si divertivano, non avevamo uno staff. Io ero carina e mi facevo invitare a cena, sennò per risparmiare mangiavo da Pizza Pino».



La dolce vita degli anni 60 applicata al tennis: c'era anche Nicola Pietrangeli.

«Un grande talento con poca volontà. Lui sostiene che avrebbe vinto di più, ma si sarebbe divertito meno. Nicola è un pezzo della mia vita, nella mia casa di Milano ha la sua stanza».



Ci racconta la storia delle mutandine di pizzo a Wimbledon.

«Ted Tinling, ex tennista e creatore di moda, mi chiese di indossare i suoi abiti. Giocai con culotte e sottoveste rosa quando ancora si usavano gonne lunghe sino alle ginocchia. Affrontavo la spagnola Pepa de Riba sul campo n.4, mi girai e mi ritrovai i fotografi sotto il sedere. Persi e uscii piangendo. Il giorno dopo ero su tutti i giornali, mio padre si infuriò e mi vietò di giocare ancora».



Lei ha vinto la sua battaglia più dura contro il tumore.

«Quando me lo hanno diagnosticato nel 1973 sono quasi svenuta dalla paura. Raccontarlo è stata una liberazione: dopo 6 mesi ho vinto gli assoluti. Mi chiamò Umberto Veronesi per chiedermi di dedicarmi alla lotta contro il cancro. Ho subito un altro intervento 2 anni fa».



In quale tennista italiana si rivede?

«Più che rivedermi, Flavia Pennetta è la figlia che avrei voluto avere e non ho mai avuto. La adoro: è tenera, gentile, tutte le volte che viene a Milano mi telefona».



Guarda il tennis?

«Sì, ma lo trovo molto muscolare e monotono. Amo Federer, è la perfezione. La magia del suo tocco ti fa sognare».