Veron, l'uomo che decise il derby dello scudetto: «Lazio, torno da presidente»

La punizione scudetto nel 2000 calciata da Veron
di Emiliano Bernardini
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Sabato 2 Aprile 2016, 09:26 - Ultimo aggiornamento: 16:21
Era il 25 marzo 2000 quando con un arcobaleno Veron incendiò i tifosi della Lazio e lancio i biancocelesti verso il loro secondo scudetto. Corre a perdifiato l'allora numero 23 stringendo le mani dei compagni come a dire siamo uno squadrone. A distanza di 16 anni è cambiato tutto. La Lazio domenica ha l'ultima chance per riaccendere un minimo di sorriso in un ambiente pieno di malinconia e non trasformare la stagione in un fallimento totale. «La stracittadina è una gara particolare, non è una partita come tutte le altre. Oggi la situazione è diversa, noi non siamo mai stati sfavoriti così come lo è la Lazio di Pioli. Noi al contrario avevamo la pressione addosso di dover vincere sempre, perché eravamo i più forti».
Che ricordi ha di quelle sfide?
«Qualsiasi altra partita, a Roma, ha un altro significato. Per storia ed emozioni il derby va oltre tutto. Quando scendi in campo sai che ti stai giocando l'orgoglio della città. A Roma si vive per il derby. È la prima cosa che i tifosi ti dicono appena arrivi».
Lei come lo preparava?
«Io in quel periodo ero uno dei più giovani. Quando scendevo in campo pensavo poco a quello che avevo davanti, mi preoccupavo di più di vedere e sentire l'umore dei miei compagni di squadra. Pensavo solo a noi. Per questa gara servono cuore e gambe».
Come si batte la Roma?
«Partiamo dal fatto che contro la Roma bisogna sempre vincere. Per farlo credo che l'unica ricetta sia quella di avere testa fredda e cuore caldo. La Lazio non sta vivendo un momento felice ma in rosa ci sono ragazzi che di derby ne hanno giocati diversi e sono loro a dover trascinare gli altri».
Le squadre arrivano con obiettivi e umore opposti, forse nei laziali c'è un po' di paura
«Paura? Forse c'è il rispetto ma non la paura. Noi abbiamo sempre avuto rispetto della Roma ma mai paura. Se hai paura è finita».
Sarà un derby differente soprattutto perché si preannuncia un Olimpico vuoto tra poteste contro le barriere e contro la società
«Questa è una cosa che dispiace molto. Prima gli stadi erano sempre pieni e quando si giocava contro la Roma c'erano sempre 80 mila persone. Penso che la bellezza di questa sfida, oltre quello che va in scena in campo, sia legata alle curve. Senza non c'è magia».
Cosa manca alla Lazio?
«Per vincere devi per forza avere giocatori di grande livello e di personalità. Oggi le squadra che lottano per lo scudetto li hanno, penso a Dybala, Higuain... La Lazio non può fare quel salto di qualità che tutti chiedono senza comprare campioni».
Ancora oggi all'Olimpico spesso i tifosi invocano il suo nome
«Questo mi riempie d'orgoglio. Vuol dire che ho lasciato un pezzo di me a Roma. A casa ho appese foto e trofei di quel periodo alla Lazio. Quelli sono stati anni forti e che rappresentavano la vera essenza del laziale».
E' vero che sei stato vicino a tornare in biancoceleste?
«Sì, c'è stato un momento dove è venuta fuori questa ipotesi ma la società non mi ha più chiamato e così non si è fatto più nulla. Io ho un buon rapporto con tutte le squadre in cui ho giocato ma gli anni migliori li ho vissuti alla Lazio».
Parlando di Lazio si è emozionato molto...
«Non lo nego: a me piacerebbe tornare, i soldi non contano. Io dico che se la Lazio ha bisogno di una mano e c'è un progetto serio per portarla ai massimi livelli, torno di corsa».
Per un attimo usiamo la fantasia, come le piacerebbe tornare?
«Magari da presidente con Simeone allenatore. Questo sarebbe il sogno più grande, tornare a quegli anni e ma in altra maniera. Ma sempre per vincere».
Qual è la prima cosa che farebbe da presidente?
«Rimettere insieme la famiglia laziale. La squadra ha bisogno di tutti quelli che ci sono stati e di quelli che non hanno avuto la stessa fortuna che abbiamo avuto noi. Bisogna avvicinare la famiglia Lazio alla società e viverla tutti insieme. E poi progetti: una buona squadra e grandi obiettivi per fa sognare la gente».
Lei presidente, Simeone allenatore e come direttore sportivo?
«Nesta, Nedved o Almeyda».
Ora torniamo con i piedi per terra, cosa le manca della Lazio
«Tutto. Mi manca prendere la macchina e arrivare a Formello e per prendere il caffè con i compagni. Quell'atmosfera unica che si viveva durante gli allenamenti. E poi mi manca lo stadio con la curva piena che ci accompagnava ovunque».
La Lazio può tornare a lottare per lo scudetto con il presidente Lotito?
«Le possibilità ci sono sempre, poi bisogna vedere veramente cosa vuole la dirigenza. Ricordatevi che è la dirigenza che fa la squadra».
Per il dopo Pioli si parla di Mihajlovic
«Sinisa conosce bene Roma e soprattutto la Lazio e questo è un vantaggio. Però c'è bisogno anche che la società corra dei rischi e appoggi l'allenatore scelto. Il dirigente deve accompagnare l'allenatore e far sognare i tifosi».
Nella Lazio c'è un grande argentino come Biglia, che però vuole andare via. Si sente di dargli un consiglio?
«La Lazio deve essere un punto di arrivo dove puoi restare e sognare. Ogni giocatore oltre a essere professionisti ha dei sogni: giocare e vincere. Questo era il messaggio che ci dava la società nel 2000».
Restando in tema di mercato ha dei giocatori da proporre?
«Mi viene in mente un attaccante come Guido Carrillo che attualmente gioca al Monaco. Una punta potente e tecnicamente buona. Poi c'è Luciano Vietto dell'Atletico Madrid che ricorda un po' Dybala. Sono calciatori che hanno bisogno di continuità e alla Lazio possono trovarla».
Un pensiero per i tifosi?
«Li ringrazio sempre per quello che hanno fatto in passato per me e per la stima che continuano a nutrire. Posso solo dirgli di non perdere mai la fiducia e di continuare a credere sempre. Mi auguro che presto possano vivere una gioia enorme come noi nel 2000».
Scaramanzia a parte, un pronostico?
«Vince la Lazio, 1-0 gol di Klose».