Omaggio al tecnico Ranieri/ Da Er Fettina al divo Claudio

di Mario Ajello
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 4 Maggio 2016, 00:17
«È finita: una donna ha fatto l’atto di cederti il posto in tram». Questo avrebbe detto Mino Maccari, con la sua ironia, al vecchio Claudio Ranieri. 

Invece, la parabola favolosa del 65enne campione della Premier League contiene l’idea che non è mai finita e che la vittoria può appartenere non soltanto ai giovani ma anche a chi non lo è più. Ranieri è la figura, da tutto il mondo celebrata in queste ore, del trionfatore modello ”de senectute”. Ed è un tipo di successo, quello tardivo, che lui si gode in maniera particolare: «Se avessi vinto il campionato inglese all’inizio della mia carriera, forse avrei potuto dimenticarlo. Ma ora sono vecchio e posso ricordarlo».

In questa storia non c’è soltanto il proverbiale racconto di Davide che con i ragazzi del Leicester, scartati dalle grandi squadre e abituati al piccolo cabotaggio tra serie B e serie C, batte Golia cioè le corazzate milionarie del calcio inglese. E non si esaurisce nemmeno, questa narrazione edificante, nella parabola eterna degli ultimi che saranno primi. O in quella del brutto anatroccolo - un commissario tecnico che in Italia non ha mai vinto niente - che si fa principe, come ora è accaduto per il Sor Claudio diventato King Ranieri. Insieme a tutto ciò, viene da pensare al 62enne Cicerone, tre anni in meno di Ranieri, che nel suo celebre trattato sull’anzianità contesta l’idea che essa sia il momento della debolezza e dell’attenuazione della lucidità. «La vecchiaia possiede spesso - scrive Cicerone - un’autorità che vale ben più di tutti i piaceri della giovinezza». Questa sensazione sta vivendo Ranieri. Questa scoperta sta facendo l’autore di un’impresa che pareva impossibile, che da giovane non avrebbe sognato mai e tantomeno sarebbe riuscito a realizzare. Ma non è mai troppo tardi per lo scoppio del talento. E quel genio di Vitaliano Brancati avrebbe messo in bocca a Ranieri le parole di un suo personaggio: «Io non sono vecchio! Io non sono affatto sazio di vita, comincio appena ora ad assaporarla». 

Ma l’italianissimo campione d’Inghilterra è dovuto andare all’estero per dimostrare quel che è e per dimostrare al mondo che la più grande impresa del calcio anglosassone l’ha compiuta un nostro connazionale. E’ a suo modo un cervello in fuga Ranieri. E’ un inventore di start up sportiva fuori dai confini della Penisola. Quindi non siamo soltanto un popolo di santi, poeti, eroi, navigatori e sottosegretari, per dirla alla Totò, ma anche di allenatori. Tramite Ranieri si scopre che i cervelli in fuga non sono soltanto giovani. E se i cervelli d’ogni età se ne vanno (Ranieri non poteva restare qui e aspettare semmai di succedere a Conte come allenatore della Nazionale? Ma figuriamoci: non glielo avrebbero proposto mai!), è perchè fuggono dal loro corpo. Cioè da un sistema italiano vecchio che, evidentemente, risulta vecchio anche a quelli che come Ranieri hanno superato i 60 anni e non permette loro di operare con quella libertà e fantasia che, ad ogni età, è la condizione per esprimersi al meglio. Ranieri ce l’ha fatta e adesso è convinto, giustamente, che anche in Italia debba valere la ricetta del suo successo: «L’unica dedica che posso fare a tutti quanti è dirgli di crederci, di provarci in tutti i campi e non solo in quello del calcio». 

Non è più il mister maldestro o il titolare della lettera scarlatta di perdente di (scarso) successo che allenò invano la Juve, la Roma, il Napoli, l’Inter e altre big. Ranieri s’è trasformato nell’eroe italiano per eccellenza. Che prima del trionfo è andato a trovare la mamma di 96 anni. Per il quale mezzo mondo intona «Volare» nel blu dipinto di blu («Ranieri ohoooooh... Ranieri ohohohoooooooooh...») e che non vince grazie ai soldi ma grazie alla serietà, alla capacità, alla mitezza caparbia e all’intuito. Per esempio quello di puntare le sue carte su un attaccante, Jaime Bardy, che fino qualche anno fa faceva il metalmeccanico e il bomber da partitelle minori, o sul nero Wes Morgan, il capitano del Leicester, scartato dalle altre squadre perchè «è un ciccione!». 

Ranieri rappresenta dunque il made in Italy e insieme anche la romanità. Pur non avendo nessuno degli stereotipi che, spesso a torto, vengono attribuiti ai quiriti: per esempio, non è un miles gloriosus. Ma è l’ex ragazzo del Testaccio (lo chiamavano Er Fettina, quando il padre aveva il bancone da macellaio al mercato) che si afferma a livello planetario e assurge al ruolo di imperatore Claudio. «Dopo Cesare e Agricola - si ironizza nei social - è il terzo romano a conquistare la Britannia». 

L’entusiasmo in città è immenso e più che giustificato, e quasi si vorrebbe questa nuova star come presidente della Repubblica e Totti premier (entrambi avrebbero l’età giusta per le rispettive cariche). Perché Roma ha una fame di gloria e di vittoria che in questi anni è stata, a tutti i livelli, frustrata. E vive il trionfo di Ranieri come l’orgoglio di un’intera comunità che ha bisogno di riscatto e potrebbe avere tutti gli uomini (vedi Claudio il conquistatore) e i mezzi (vedi le elezioni e il risveglio dei giallorossi) per meritarselo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA