Invece, la parabola favolosa del 65enne campione della Premier League contiene l’idea che non è mai finita e che la vittoria può appartenere non soltanto ai giovani ma anche a chi non lo è più. Ranieri è la figura, da tutto il mondo celebrata in queste ore, del trionfatore modello ”de senectute”. Ed è un tipo di successo, quello tardivo, che lui si gode in maniera particolare: «Se avessi vinto il campionato inglese all’inizio della mia carriera, forse avrei potuto dimenticarlo. Ma ora sono vecchio e posso ricordarlo».
In questa storia non c’è soltanto il proverbiale racconto di Davide che con i ragazzi del Leicester, scartati dalle grandi squadre e abituati al piccolo cabotaggio tra serie B e serie C, batte Golia cioè le corazzate milionarie del calcio inglese. E non si esaurisce nemmeno, questa narrazione edificante, nella parabola eterna degli ultimi che saranno primi. O in quella del brutto anatroccolo - un commissario tecnico che in Italia non ha mai vinto niente - che si fa principe, come ora è accaduto per il Sor Claudio diventato King Ranieri. Insieme a tutto ciò, viene da pensare al 62enne Cicerone, tre anni in meno di Ranieri, che nel suo celebre trattato sull’anzianità contesta l’idea che essa sia il momento della debolezza e dell’attenuazione della lucidità. «La vecchiaia possiede spesso - scrive Cicerone - un’autorità che vale ben più di tutti i piaceri della giovinezza». Questa sensazione sta vivendo Ranieri. Questa scoperta sta facendo l’autore di un’impresa che pareva impossibile, che da giovane non avrebbe sognato mai e tantomeno sarebbe riuscito a realizzare. Ma non è mai troppo tardi per lo scoppio del talento. E quel genio di Vitaliano Brancati avrebbe messo in bocca a Ranieri le parole di un suo personaggio: «Io non sono vecchio! Io non sono affatto sazio di vita, comincio appena ora ad assaporarla».
Ma l’italianissimo campione d’Inghilterra è dovuto andare all’estero per dimostrare quel che è e per dimostrare al mondo che la più grande impresa del calcio anglosassone l’ha compiuta un nostro connazionale. E’ a suo modo un cervello in fuga Ranieri. E’ un inventore di start up sportiva fuori dai confini della Penisola. Quindi non siamo soltanto un popolo di santi, poeti, eroi, navigatori e sottosegretari, per dirla alla Totò, ma anche di allenatori. Tramite Ranieri si scopre che i cervelli in fuga non sono soltanto giovani. E se i cervelli d’ogni età se ne vanno (Ranieri non poteva restare qui e aspettare semmai di succedere a Conte come allenatore della Nazionale? Ma figuriamoci: non glielo avrebbero proposto mai!), è perchè fuggono dal loro corpo. Cioè da un sistema italiano vecchio che, evidentemente, risulta vecchio anche a quelli che come Ranieri hanno superato i 60 anni e non permette loro di operare con quella libertà e fantasia che, ad ogni età, è la condizione per esprimersi al meglio. Ranieri ce l’ha fatta e adesso è convinto, giustamente, che anche in Italia debba valere la ricetta del suo successo: «L’unica dedica che posso fare a tutti quanti è dirgli di crederci, di provarci in tutti i campi e non solo in quello del calcio».
Non è più il mister maldestro o il titolare della lettera scarlatta di perdente di (scarso) successo che allenò invano la Juve, la Roma, il Napoli, l’Inter e altre big. Ranieri s’è trasformato nell’eroe italiano per eccellenza. Che prima del trionfo è andato a trovare la mamma di 96 anni. Per il quale mezzo mondo intona «Volare» nel blu dipinto di blu («Ranieri ohoooooh... Ranieri ohohohoooooooooh...») e che non vince grazie ai soldi ma grazie alla serietà, alla capacità, alla mitezza caparbia e all’intuito. Per esempio quello di puntare le sue carte su un attaccante, Jaime Bardy, che fino qualche anno fa faceva il metalmeccanico e il bomber da partitelle minori, o sul nero Wes Morgan, il capitano del Leicester, scartato dalle altre squadre perchè «è un ciccione!».
Ranieri rappresenta dunque il made in Italy e insieme anche la romanità. Pur non avendo nessuno degli stereotipi che, spesso a torto, vengono attribuiti ai quiriti: per esempio, non è un miles gloriosus. Ma è l’ex ragazzo del Testaccio (lo chiamavano Er Fettina, quando il padre aveva il bancone da macellaio al mercato) che si afferma a livello planetario e assurge al ruolo di imperatore Claudio. «Dopo Cesare e Agricola - si ironizza nei social - è il terzo romano a conquistare la Britannia».
L’entusiasmo in città è immenso e più che giustificato, e quasi si vorrebbe questa nuova star come presidente della Repubblica e Totti premier (entrambi avrebbero l’età giusta per le rispettive cariche). Perché Roma ha una fame di gloria e di vittoria che in questi anni è stata, a tutti i livelli, frustrata. E vive il trionfo di Ranieri come l’orgoglio di un’intera comunità che ha bisogno di riscatto e potrebbe avere tutti gli uomini (vedi Claudio il conquistatore) e i mezzi (vedi le elezioni e il risveglio dei giallorossi) per meritarselo.
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