Parma, la Procura chiede il fallimento del club
Lucarelli: «Diamo ancora fiducia a Manenti»

Parma, la Procura chiede il fallimento del club Lucarelli: «Diamo ancora fiducia a Manenti»
di Vanni Zagnoli
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Martedì 17 Febbraio 2015, 18:57 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 00:31

L’isola felice del calcio italiano sta per trasformarsi nell’isola che non c’è. Quelle 8 coppe nella bacheca del Parma, fra il ’92 e il 2002, rischiano di finire all’asta perchè la procura ha chiesto il fallimento per inadempienze fiscali. La richiesta è firmata dai pm Paola Dal Monte, Giuseppe Amara e Umberto Ausiello, l’udienza è fissata tra un mese, il 19 marzo. Due settimane fa la stessa magistratura aveva smentito che fosse in corso l’indagine, di certo trema l’ex presidente Tommaso Ghirardi, accusato fra l’altro dall’ex socio di minoranza Roberto Giuli (Energy Ti): «Avevamo acquistato il 10% della società per 50 milioni. Sei mesi dopo, al netto dei crediti sono lievitati a 97».La gestione del Parma era disinvolta già nell’èra Parmalat, conclusa a dicembre del 2002 in maniera traumatica, Ghirardi aspettò 4 anni per prendere la società pulita dai debiti grazie alla legge Cassano. Fece collezione di grandi nomi, Cristiano Lucarelli e Giuseppe Rossi, Giovinco e Cassano. «A molti fornitori diceva pagherò», commenta caustico l’ex arbitro internazionale Alberto Michelotti, 84enne polemista a Tvparma.

LA STORIA

Ecco, Ghirardi allenava i giornalisti, chiedeva indulgenza nella critica e raccontava di un calcio “pane, amore e fantasia” che aveva comunque mantenuto lo spettacolo allo stadio Tardini.

Era sconvolto per l’esclusione dall’Europa league, a maggio. Diede le dimissioni, andò tre settimane in ferie.«Sono rilassato, le ho fatte saltare a Leonardi». Che così a gennaio si è sentito male anche perchè rimasto solo. Tommy riprese la presidenza perchè «nessuno di credibile aveva bussato alla mia porta. E ho 2mila lettere e mail di gente che mi ha chiesto di restare». Tre mesi fa quell’irrefrenabile impulso a vendere. A un euro. Perchè nessuno gli dava i 20 milioni necessari a evitare la penalizzazione di 2 punti. Il petroliere albanese Rezart Taci aveva ceduto alle insistenze dell’ad Pietro Leonardi, spedendo la sorella a Collecchio. Gli avevano forse prospettato un indebitamento di 30 milioni o poco più. Ovvero quanti avrebbe messo insieme Manenti nel bonifico più evanescente della storia, in viaggio da Nova Gorica a Collecchio.

I CONTI

«Nel conteggio del passivo - rivela l’ex vicepresidente Fabio Giordano, avvocato romano -, il mio studio era arrivato a 78 milioni». Cifra aggiornata a 96 la scorsa settimana, nel giorno della presentazione di Manenti. Il manager designato Fiorenzo Alborghetti, ma questi resta a cartiere Pigna:«Neanche riesco a vendere l’azienda dell’onorevole Iannone, all’estero, figurarsi se pianto in asso 500 dipendenti per avventurarmi nel calcio».

Con Manenti c’è Isabella Camporese, chiacchierata immobiliarista di Marina di Carrara. I due vorrebbero saldare tutti i dipendenti e i fornitori. “Il mio piano è decennale”, ripeteva il nuovo presidente. Meglio che sia mensile, per evitare il fallimento. Converrebbe pilotarlo, come ha fatto il Bari un anno fa, mantenendo la serie B. Perchè il Parma rischia di finire in D, come Siena, Padova e in passato tanti club amatissimi. Anche senza trofei nel palmares. Con la squadra che, per ora, aspettando le mosse del presidente Manenti non mette in mora la società.

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