La scarabocchio della Roma diventa un'opera d'arte da Champions

La scarabocchio della Roma diventa un'opera d'arte da Champions
di Alessandro Angeloni
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Lunedì 25 Maggio 2015, 21:52 - Ultimo aggiornamento: 22:08
La Grande Bellezza è nel cuore, non in campo, non nelle giocate. Il bello del derby è anche altro: giochi maluccio (sia Lazio sia Roma), provi a non prenderle, ti dedichi poco allo spettacolo. Uno scarabocchio che diventa arte. Vinci e sorridi, poi ti chiedi: oggi sono felice e canto, quindi cosa conta lo spettacolo? Lo spettacolo è rivedere i sorrisi di tanti giocatori che per sei mesi si sono trascinati depressi, inconcludenti e, come ha sottolineato molto sinceramente De Rossi, “facendo cacare”; lo spettacolo è guardare Iturbe mentre risorge come fosse la Santa Pasqua, un Gesù pagano, pieno di tatuaggi; lo spettacolo guardare salire in cielo Yanga Mbiwa e vederlo colpire la palla di testa come fosse Weah o, per rimanere in zona, bomber Pruzzo. Lo spettacolo e ritrovare un De Rossi voglioso, determinato, padrone del campo e dei palloni, suoi e non suoi. Lo spettacolo è guardare Pjanic agitare le mani verso la curva, la stessa con cui lo scorso 4 aprile, aveva litigato di brutto e sembrava una lite per nulla ricucibile. Mire sbraccia, la Sud si esibisce in un boato. Lo spettacolo è scorgere la cresta di Nainggolan su e giù per il campo e gli perdoni pure qualche giocata non proprio urbana. Lo spettacolo è vincere un derby con una rete, per tanti, in fuorigioco. E lo spettacolo è vedere l'ironia dei giocatori raccontata da quelle magliette preparate con la speranza nel cuore, di poterle esibire con in mano le chiavi della Grande Europa. Ti ripeti, ma è stato un brutto derby, poco spettacolare. E un romanista qualsiasi oggi ti risponderebbe: e chi se ne frega.
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