Rugby, a lezione di palla ovale all'Ic di via Volsinio: così scuola, Edison e Federugby educano i cittadini di domani

Rugby, a lezione di palla ovale all'Ic di via Volsinio: così scuola, Edison e Federugby educano i cittadini di domani
di Paolo Ricci Bitti
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Venerdì 20 Marzo 2015, 03:05 - Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 02:40

Forse in questa palestra inondata dal sole non si stanno allenando i futuri azzurri e le future azzurre del rugby, ma di sicuro stanno crescendo cittadini migliori per la nazionale Italia.

Niente placcaggi, perché il parquet, per quanto tirato a lucido, non è morbido come un prato, ma gli alunni e le alunne della II C dell’Istituto comprensivo via Volsinio, a due passi da villa Ada, imparano con buon piglio a passare la palla (indietro, eh) e a evitare gli avversari. Di sicuro si divertono un sacco come sempre avviene quando fra le mani di un bambino o di una bambina finisce quell’oggetto strano che è un pallone ovale, così ribelle ai rimbalzi rispetto ai colleghi tondi.

Ecco Luca, 13 anni, forse un prossimo mediano di mischia: “No, non conoscevo il rugby, l’ho scoperto qui a scuola e per adesso non lo gioco in qualche club romano, ma intanto ho visto l’Italia vincere all’Olimpico con la Francia (2013) e non dimenticherò mai la festa e la felicità di quel pomeriggio”.

I responsabili del purtroppo non ancora abbastanza diffuso virus ovale nella scuola sono tutti qui, in questa palestra anni Trenta dalle grandi finestre. C’è la preside Loredana Teodoro, alla guida di un esercito di 1200 alunni e di 150 insegnanti: deve far quadrare un’infinità di conti, ogni giorno si sobbarca un oceano di grane, ma con il rugby, pur non conoscendolo fino a due anni fa, è stato amore a prima vista.

Poi ci sono gli insegnanti di educazione fisica Marco Ferroni (aquilano, e qui il rugby va sul velluto) e Stefano Zenzi (trascorsi nella pallavolo). E ancora: Ernesto De Fazi, tecnico del comitato del Lazio della Federugby e Giuliano D’Ambrosio, responsabile dei rapporti con la scuola della Polisportiva Lazio, la più articolata del mondo. Infine Stefano Scarsella, allenatore federale di primo livello, ovvero colui che sta insegnando a Michela e a Giulia come maneggiare la palla quando l’avversario si avvicina.

Le ragazze lo ascoltano con molta attenzione e con grande impegno ingannano il rivale e segnano la meta con quel pallone griffato Edison. Ecco chi mancava a completare la squadra (guarda caso a 7, come il rugby che verrà giocato alle Olimpiadi di Rio nel 2016) che porta questa disciplina nelle scuole. Edison, che firma anche il retro delle maglie azzurre, da 8 anni sostiene la nazionale, ma adesso ha voluto fare di più: la società, che ha mosso i primi passi nel settore dell’energia nel 1883 (anno in cui è nato il Torneo allora delle Quattro Nazioni, e poi dicono delle coincidenze) è divenuta sponsor principale della Federugby nel Progetto Scuole che punta a diffondere il rugby fra 600mila alunni di 2.300 scuole italiane. Il suo contributo permette agli istituti, agli insegnanti e ai volontari della Fir e delle società di arginare le ristrettezze di bilancio e così dalle Alpi alla Sicilia è tutto un fiorire di allenamenti in palestra come quello che stiamo seguendo, di campionati studenteschi dagli under 10 agli under 16 (fino agli under 12 bambini e bambine giocano insieme), di campionati degli enti scolastici e di feste del rugby.

“Oltre a sostenere la nazionale, crediamo che i valori del rugby vadano trasmessi ai più giovani e portati nelle scuole – dice Andrea Prandi, direttore Relazione esterne Edison – Il progetto che ci vede alleati della Federugby è pensato per migliorare il benessere dei ragazzi non soltanto sul piano fisico, ma soprattutto su quello interiore, per imparare a canalizzare le proprie energie in modo positivo”.

“Problemi da parte dei genitori? – interviene la preside Teodoro – Me nemmeno uno, anzi, c’è stato subito grande interesse perché ormai è conosciuta l’immagine positiva del rugby, lontana da ogni esasperazione. I riscontri, fin dal primo anno scolastico, sono stati assai incoraggianti e ora puntiamo a estendere il progetto”.

Ci pensate: 1.200 bambini e bambini che si fanno un’idea del rugby già a scuola come fossimo (esageriamo, ma ci è dolce farlo) in Inghilterra. Che poi lo pratichino anche all’esterno è un'altra questione, ma intanto la contaminazione avviene coinvolgendo spesso anche i genitori.

“Già – raccontano gli insegnanti Ferroni e Zenzi – molte mamme, prima ancora dei padri, chiedono, fanno domande, sono curiose di conoscere le esperienze dei figli in questo sport. Non è stato facile, ma un po’ alla volta anche grazie a questi progetti il rugby sta diventando in Italia quello che è da sempre nelle scuole anglosassoni e francesi, un momento educativo e non solo ricreativo”.

“Avessimo le forze – interviene D’Ambrosio, della Polisportiva Lazio che vanta la più antica sezione di rugby d’Italia, 1927 – potremmo mandare decine di tecnici in più nelle scuole, tante sono le richieste, tanto è l’entusiasmo, ma è vero che è in atto un vero e proprio boom del minirugby che mette a nudo le carenze di impianti in una capitale Roma”.

“Ciò che è importante – conclude De Fazi, Federugby Lazio – è offrire opportunità ai ragazzi, qui non si cercano i campioni di domani, ma i cittadini. Il rugby, nel suo essere gioco di squadra per eccellenza, ha anche il vantaggio di essere adatto a tutti i tipi di fisico, ma quello che davvero importa a noi tecnici coinvolti in questo progetto, è di far crescere gli alunni in un contesto di lealtà, senza esasperazioni agonistiche”.

Intanto il tecnico Scarsella ha finito di mettere i conetti sul parquet, in minicampo da rugby è pronto, arrivala III C. Il rugby, all'Ic Volsinio, non si ferma mai.

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