Italia rugby, il capitano Michele Lamaro: «A Cardiff per fare la storia». L'analisi: dall'epica alla normalità. Azzurri al 9° posto nel ranking

Lunedì 11 Marzo 2024, 14:12 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 16:42

L'analisi: dalle imprese epiche alla normale continuità

Dice bene il ct Gonzalo Quesada che predica umiltà: «Sono qui da pochi giorni (70) e per adesso ho solo convinto gli azzurri delle loro potenzialità: i meriti sono tutti dei ragazzi. Siamo solo all’inizio». Ecco, dopo 25 anni di Sei Nazioni (che in realtà sono 29 perché abbiamo giocato 4 edizioni “ombra” dal 1996), quando il suiveur sente la parola “inizio” viene preso da un po’ di malinconia.

E’ dal 2000 che l’Italia ovale nel Torneo più bello al mondo ha tutto meno le vittorie sul campo che magari nello sport qualcosa contano: sabato l’Olimpico era di nuovo pieno come un uovo (70mila fedeli) per sostenere una squadra che di 123 partite ne aveva vinte 13 pareggiandone 2. Quale altra disciplina in Italia sarebbe sopravvissuta con questo cv colabrodo? Quale altro sport farebbe ammucchiare, solo per quanto riguarda Roma, 37 milioni di euro di indotto ogni anno?

Epperò adesso, dopo l’inedito pareggio in Francia e il trionfo con la Scozia (mai infilati prima 2 risultati utili consecutivi) l’esigenza, la speranza, il sogno è che si vada oltre l’inizio. L’Italia debuttò alla grande nel Torneo battendo la Scozia campione in carica, ma poi quell’inizio folorante scomparve sotto 14 ko di seguito. Nel 2007 due vittorie rinascimentali, ma poi della rinascita si persero le tracce. Idem nel 2013: sempre due vittorie, ma poi anche quell’inizio restò tale. La desolante traversata del deserto dal 2015 al 2022 (36 ko di seguito) terminò con il primo e commovente successo in Galles, ma poi l’anno scorso 5 sconfitte su 5.

Dietro la nazionale di Quesada ci sono le franchigie Benetton (bene) e Zebre (meno bene) e c’è la meravigliosa Under 20 di Brunello che ha battuto Francia e Scozia grazie agli ultimi frutti della filiera allestita dal 2016 dall’irlandese Aboud. E procede bene anche l’indispensabile ricerca di talenti di scuola straniera. Proprio Aboud, prima di lasciare due anni fa, annunciò che l’attuale gruppo azzurro, il più giovane del Torneo, fosse stato “tarato” per dare il massimo ai Mondiali 2027. Insomma, non manca il carburante anche se la nostra tanica è sempre più piccola di quella dei rivali.

A Quesada, che ha avuto l’acume di tenere il buono costruito dal suo predecessore Crowley, il compito durissimo di portare finalmente l’Italia oltre l’inizio. Lui ci crede, noi non ne dubitiamo.

Paolo Ricci Bitti

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