Boca-River, la partita più bella del mondo

Boca-River, la partita più bella del mondo
di Marco Ciriello
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Sabato 10 Novembre 2018, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 13:05
Poi saranno anche romanzi e film, per raccontare tre settimane di febbre e centottanta minuti più eventuale recupero e possibili calci di rigore, con conseguente tragicità e trionfo. Perché Boca Juniors e River Plate non sono mai state solo delle squadre di calcio, ma la massima esplicitazione dell’appartenenza. Nate entrambe da un sogno genovese, impastato a fame e bagnato nel porto di Buenos Aires, stesso quartiere, Boca. Cento e fischia anni di storia, partite, emozioni, vite: Maradona, Di Stéfano, Kempes, Riquelme, Aimar, Mascherano, Francescoli, Martín Palermo e Passarella, per citarne solo alcuni. Storie. Un po’ di più che da noi, come cantava Guccini «disegnando un labirinto di passi tuoi per quei selciati alieni», perché laggiù c’è «la capovolta ambiguità d’Orione e l’orizzonte sembra perverso» soprattutto quando apparecchia un Boca-River e River-Boca nell’ultima finale su due partite della Copa Libertadores. Piove epica su Baires per il dominio calcistico del continente, bisogna pensare a “Gangs of New York” di Scorsese ma col tango. Incarnando il comandamento di José de San Martin: «O sarai quello che devi essere o non sarai nulla». E le squadre si sono accorte di essere indispensabili l’una all’altra quando il River è andato in B (2011). Ma dopo 363 notti hanno ristabilito priorità. 
 
 


FUORI IL BRASILE 
Già il fatto di aver eliminato in semifinale due brasiliane, Gremio e Palmeiras, ha fatto sussultare gli argentini che tra Copa America e Mondiale non se la passano bene. Era il sogno di tutti, mai avverato nonostante tante sfide, giocare la partita più bella del mondo – gli argentini pensano che Maradona sia il più grande calciatore del mondo e solo uno dei maggiori argentini – il superclàsico è diventato la superfinal. Il Boca insegue la sua settima Copa, il River ne ha tre, e questa volta ha l’allenatore, Marcelo Gallardo – vorrebbe essere Bielsa ma agisce come Mourinho – squalificato perché ha compiuto una azione da gaucho indisponente, è entrato negli spogliatoi per incitare i suoi nell’intervallo contro il Gremio, che per quello strappo hanno ribaltato la gara, perdendolo però nelle finali (10 e 24 novembre), un sacrificio alla John Wayne. Che sarebbe piaciuto ad Ángel Labruna, calciatore e grande allenatore del River, che entrava sul campo degli avversari turandosi il naso e camminando in punta di piedi come se ci fosse bosta (la merda di cavallo), non a caso chiamano quelli del Boca Bosteros, e loro ricambiano con Los Millionarios - con la vendita di un pezzo di cuore, Sivori, ci fecero la quarta tribuna al Monumental – e Gallinas a indicare un animale codardo. Gallardo – l’unico nella storia del club ad aver vinto la Libertadores sia da giocatore che da allenatore (2015) – per un ribaltamento da romanzo è tutt’altro che codardo, a sottolineare la mutazione delle storie, oggi non si può dire che alleni i fighetti e che il Boca sia solo poveri, il loro ex presidente, Macri, guida il paese. La squadra invece è allenata da Schelotto – 4 Libertadores da calciatore del Boca – e non brilla (in campionato solo ottavi, due posti davanti al River), l’ultimo classico l’ha perso due a zero in casa; ha però Tevez, tornato dalla Cina in tempo per giocarsi la gloria,  Darío Benedetto e Pavón che vanno segnati tra i probabili assassini dei giorni di festa del River, che ha più gioco corale e un solo vero calciatore con sfarfallio stilistico: Gonzalo Martínez. Si insegue con euforia «la gloria eterna» che dai campi di pallone arriva ai libri di storia passando per le finali di Copa Libertadores.
In tv: ore 21, diretta Dazn
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