Lo staffettista d’oro Lorenzo Patta: «La mia vita in curva tra Jacobs e Tortu»

Il campione olimpico della 4x100 racconta il suo ruolo speciale: Serve tecnica, bisogna saper correre piegati

epa09401548 (L-R) Lorenzo Patta, Lamont Marcell Jacobs, Eseosa Fostine Desalu and Filippo Tortu of Italy celebrate after winning the Men's 4x100m Relay final of the Athletics events of the Tokyo 2020 Olympic Games at the Olympic Stadium in Tokyo,...
di Piero Mei
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Venerdì 12 Aprile 2024, 15:18

Diceva Antoni Gaudi, l’artista della Sagrada Familla a Barcellona, che «la linea retta è la linea degli uomini, quella curva è la linea di Dio». Diceva Stirling Moss, il campione dei piloti, che «i rettilinei sono soltanto i tratti noiosi che collegano le curve». L’uomo della curva, oggi, è lo staffettista d’oro Lorenzo Patta, ventiquattrenne di Oristano, atleta delle Fiamme Gialle.

«Mi piace correre in curva, mi viene naturale. Forse me lo fa piacere il fatto che mi riesca bene. Non è facilissimo: ci vuole una certa tecnica, bisogna correre un po’ piegati».

Da adolescente non era da curva ma da fascia…

«Sì, volevo fare il calciatore, correvo sulla fascia e poi magari convergevo al centro».

Un tipo alla…?

«Esageriamo? El Shaaravy, ma con i piedi molto meno buoni».

Un romanista? A Oristano, cuore di Sardegna?

«Ma io sono romanista. Sciarpe e magliette. Me lo ha insegnato mio padre. L’ho vista solo una volta dal vivo, un Roma-Leicester all’Olimpico, conto di tornarci appena potrò».

Il romanista preferito?

«Ora è in panchina: Daniele De Rossi».

Intanto all’Olimpico potrebbe tornare da staffettista agli Europei di giugno. Che posto? La uno o la tré, chiederebbe Mike Bongiorno, con l’accento sulla «è»?

«Preferenza per la tre. E’ la frazione che sogno da sempre. C’è il doppio cambio, doppio rischio, poi tra Marcell Jacobs e Filippo Tortu, che responsabilità, come a Budapest per l’argento mondiale. A Tokyo ero partito dai blocchi, un cambio solo. Sì, da romanista l’Olimpico è il mio stadio: ho corso lì al Golden Gala, certo agli Europei di giugno sarà un’altra cosa».

A cosa pensa in pista?

«A niente, non c’è tempo per pensare. Si dice o si sente solo una parola».

Quale?

«Hop».

E’ solo un suono.

«Sì, al cambio. Devi dirlo in sincronia con il passaggio del testimone. Devi pure riconoscere le voci in mezzo a tutto il caos dello stadio.

Ma ci si allena tanto su questo durante i raduni. Ci sono dei rischi: se sei il ricevitore devi partire giusto al segno e al suono, se sei quello che passa il bastone devi trovare la mano del compagno al segnale».

E lei come ha trovato la corsa senza un pallone tra i piedi, scoprendo che se non erano tanto buoni per il calcio potevano esserlo per l’atletica?

«Un classico: ai Giochi Studenteschi, 100 metri, secondo posto senza averli preparati specificamente».

Era studente al liceo scientifico ad indirizzo sportivo (il “Mariano IV” di Arborea, vicino ad Oristano) un po’ di gol nel curriculum, 32 fra i giovanissimi del “Santa Giusta Calcio”, 22 tra gli allievi dicono le calcistiche scritture. E poi?

«Poi con Valentina Piras, e dopo mi vide il professor Francesco Garau e mi portò in pista. Mi allena ancora».

Dove?

«A Oristano, da solo. Poi ci sono i raduni per le staffette. A Oristano sto bene, con gli amici ai raduni pure. Adesso già fa caldo a casa mia. Ci si allena la mattina, dopo viene l’ora di pranzo».

Preferenze a tavola?

«Quello che fanno mangio. Sono un ragazzo normale. Anche fisicamente. Forse pure troppo».

Social?

«Il giusto».

Dicono gli almanacchi un metro e 73 per 60 chili, non uno sprinter muscolare (e qualcuno muscolato a forza…) di oggi.

«Posso sembrare fragile, ma ho i piedi forti: vanno bene per i rimbalzi».

E la Sardegna nel cuore…

«Noi sardi siamo così, nasciamo con la passione per la nostra terra; non c’è un perché, è così e basta».

Nel cuore per il 2024?

«Qualcosa di grosso».

Se anche di luccicante non lo dice. La scaramanzia va veloce anche in curva… Ha dichiarato Filippo Tortu, l’uomo al quale Patta ha dato l’”hop” a Budapest: «Quale medaglia mi ha emozionato di più a Tokyo a parte la mia? Quella di Patta, quella di Jacobs, quella di Desalu». Capita l’antifona? Parigi val bene una curva anche per Lorenzo, il romanista di Oristano…

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