Botte e mortificazioni ai pazienti: chiesta un'altra condanna per i responsabili dell'“ospizio lager” di Torchiagina

Il procuratore generale di Perugia, Sergio Sottani
di Egle Priolo
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Martedì 19 Marzo 2024, 08:46

PERUGIA - Undici condanne da confermare, tra i 7 anni e mezzo e i 26 mesi di reclusione, per i maltrattamenti e delle botte ai pazienti, anche disabili e con problemi psichici, dell’Alveare, la comunità socio riabilitativa di Torchiagina di Assisi. Questa la richiesta della procura generale di Perugia nei confronti degli undici imputati nel processo di appello per quello passato alle cronache come “l'ospizio lager”, a quasi due anni e mezzo dalla durissima sentenza di primo grado: chiusa, nell'ottobre 2022, con un totale di quasi 46 anni di carcere, con la procura che aveva chiesto all'epoca invece condanne per 30 anni in tutto e anche tre assoluzioni.

In base alla tesi accusatoria, comunque, ora devono essere nuovamente condannati i sanitari, gli operatori e i responsabili della struttura a cui si contestano a vario titolo reati che vanno dalle percosse ai maltrattamenti fino al sequestro di persona, per quei pazienti picchiati e mortificati da chi li avrebbe dovuti curare. Per quelle braccia torte dietro la schiena, per gli scappellotti e i cazzotti. E ancora, per i pazienti tirati per i capelli o le orecchie, buttati per terra e magari anche chiusi in bagno per 20 minuti, con episodi non solo raccontati ma soprattutto ripresi dalle telecamere dei carabinieri del Nas, all’epoca diretti dal tenente colonnello Marco Vetrulli.
I fatti sono relativi agli anni 2014/2016, quando – in base alle indagini – sono emersi atteggiamenti di «aggressione fisica e psicologica, con costante ricorso alla violenza fisica e ad atti di afflizione psicologica, come punizione per fatti di disobbedienza o di mancato rispetto delle regole interne».

E tutti gli imputati, negli anni, difesi tra gli altri dagli avvocati Luca Gentili e Alessandro Bacchi, hanno sempre rinviato con forza al mittente le contestazioni, negando l’uso della violenza nella gestione (difficile, anche per mancanza di personale) dei pazienti. Contestando quindi non solo le accuse, ma anche la prima sentenza, contro cui hanno fatto ricorso. A pesare, però, oltre ai video e alle intercettazioni, anche le testimonianze degli stessi investigatori che hanno raccontato circa 200 episodi di violenza che hanno dato corpo alle indagini. Compresi quelli più clamorosi, come il sequestro di un iPod per sentire la musica al paziente che viveva delle sue canzoni nelle orecchie o la minaccia di non andare dal parrucchiere alla giovane fissata con il suo aspetto fisico. Punizioni, è stato spiegato, e mortificazioni con cui – secondo le accuse – venivano gestiti i pazienti, mentre gli avvocati delle difese hanno provato a sottolineare però anche le dimostrazioni di affetto presenti nei video. Tutti elementi ribaditi anche nel processo d'appello, con la Corte chiamata ora a decidere nella prossima udienza fissata per il 17 aprile.

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