Biennale Arte, la musicista Caterina Barbieri: «All'Arsenale di Venezia suoni ipnotici per riscoprirci»

La regina della consolle è co-ideatrice dell’accompagnamento per l’installazione immersiva di Massimo Bartolini al Padiglione Italia: «Una selva di tubi sonori in omaggio agli organi delle chiese lagunari»

Biennale Arte, la musicista Caterina Barbieri: «All'Arsenale di Venezia suoni ipnotici per riscoprirci»
di Simona Antonucci
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Mercoledì 24 Aprile 2024, 12:29 - Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 20:11

Noi suoniamo delle “macchine”. Chi produce musica elettronica, come me, è un po’ un “meccanico” del suono.

Deve saper dominare sintetizzatori, hardware, computer, quel mondo “esoterico” da sempre appannaggio maschile. Eppure, sono state proprio le macchine, lo strumento di emancipazione per molte compositrici. Perché, rispetto alle accademie, le orchestre, i conservatori, dove i ruoli sono da sempre molto rigidi, e poco paritari, nelle nostre “officine” c’è libertà». 

Caterina Barbieri, bolognese, 34 anni, presenta il complicato mondo sonoro con cui crea vortici musicali (sintetizzatori modulari attraverso i quali manipola fonti sonore, come la sua voce, chitarra, archi e clavicembalo) mentre si aggira tra tubi Innocenti nel Padiglione Italia, all’Arsenale di Venezia. Qui, Barbieri, affianca Luca Cerizza (curatore) e Massimo Bartolini (l’artista) nel progetto Due Qui/To Hear per la mostra di Biennale Arte, Stranieri Ovunque, di Adriano Pedrosa: 331 artisti e 87 Padiglioni che rispondono ai temi di estraneità e appartenenza, inclusione e ascolto.

I fan

Ed è sulle dinamiche dell’ascolto che Caterina Barbieri, insieme con Gavin Bryars e Kali Malone («Una cara amica con cui lavoro da anni») ha ideato la partitura che accompagna l’installazione immersiva. Evento che richiama code lunghissime, soprattutto di ragazzi da tutto il mondo, fan della compositrice e delle sue leggendarie performance alla consolle. Viaggi alla velocità della luce e al rallentatore, ponti tra paesaggi sperimentali, dance, pop, monumentali e intimi, «anche per esplorare gli effetti psicofisici del suono», dice lei. “Sogni per le orecchie”, dice la critica.

Invitata da Bartolini, la musicista, per la Biennale, ha scelto di far dialogare i suoi segnali sonori con un organo, «anche in omaggio agli strumenti che rendono uniche le chiese della città.

I visitatori vengono accolti in questa selva di tubi che poi sono canne di un organo. Ogni canna, costruita da artigiani organari italiani, produce note. E la composizione si smaterializza nello spazio». A emettere i segnali, «due giganti carillon, su cui sono stampati i nostri spartiti che dialogano dai lati opposti della sala». E proprio i tubi, che hanno animato dibattiti e polemiche il giorno dell’inaugurazione, fanno da guida al percorso, fino alla vasca centrale: «Lì dentro c’è un liquido e un meccanismo ingegneristico che alimenta un movimento ciclico per condurre all’ascolto».

E a una comunicazione, intima e a distanza. «Fin dall’inizio, con Kali Malone, abbiamo immaginato una creazione, a due voci, botta e risposta. Idea che abbiamo sviluppato integrandola al codice Morse, pattern ostinato, proposto in modo compositivo. Quasi a suggerire uno scambio telepatico». Tradizione musicale secolare che s’incrocia con i ricordi di bambina, perché «fu mia nonna che mi parlò del codice Morse. Quando ero piccola mi raccontava che durante la guerra, nell’Appennino bolognese, i ragazzini venivano mandati a fare vedette sulle colline. E comunicavano a distanza con gli specchietti».

Mute vette

Ed è così che è nato anche il titolo della partitura Mute Vette che SZ Sugar ha deciso di pubblicare: un catalogo di musica e arte, per una nuova collaborazione tra la Biennale e l’etichetta milanese. Contaminazioni, da sempre alimento della compositrice («il mio è un percorso ibrido, dalla chitarra classica in conservatorio per poi proseguire con l’elettronica al Royal College di Stoccolma») che presenta i suoi lavori in diversi contesti, «nelle sala da concerto, in teatri, club, gallerie d’arte», racconta Barbieri, che nel 2022 ha fondato la sua etichetta discografica Light Years, «per dare voce ad altri. E per la mia indipendenza: vedere una donna che afferma il potere delle proprie idee creative e della propria mente non è un processo del tutto sdoganato».

Caterina si è esibita alle Biennali di arte e di cinema «in piazza, al festival di fotografia europea di Reggio Emilia», al Barbican, Philharmonie di Parigi e di Amburgo, Berlino, all’Argentina di Roma per Romaeuropa, a Cannes. Performance durante le quali si nasconde dentro «un’armatura disegnata con amici davvero pazzi. Per un look futuristico, da guerriero cosmico: alla mia identità visiva, alle scene e alle luci, dedico attenzione, perché è la figura che condivido e non voglio essere mai troppo visibile».

Una volta sul palco, scatena, secondo i seguaci, “suggestioni ipnotiche, stati di alterazione ed estasi”. Vero? «Dopo i concerti, ricevo messaggi che esprimono uno spettro di emozioni molto vasto, astratte o euforiche, di trance estatica», spiega, «io parlerei di uno stato contemplativo, ipnotico, che induco attraverso la ripetizione: la musica gradualmente ti accompagna in una dimensione in cui la temporalità sembra sospendersi. Entri in connessione con gli altri, vai oltre la tua individualità e sviluppi l’empatia».

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