Quella notte di giugno di quattro anni, Alessandro fu chiamato con il numero 53 dai Rockets che ne avevano rilevato i diritti da Minnesota per quasi un milione di dollari su suggerimento di Gianluca Pascucci, al tempo “vice president of player personnel” della franchigia texana e già general manager a Milano quando lo strappò, forse prematuramente, da Treviso e dalla Ghirada, sua “culla” cestistica. In Nba non ci andò perché volle prolungare il contratto con Milano, fresco di vittoria in finale scudetto contro Siena. Convinto di poter diventare il simbolo dell’Olimpia o comunque potersi ritagliare uno spazio importante in qualche altra squadra europea dove avrebbe potuto giocare da stella piuttosto che da comprimario a Houston non avendo nelle gambe tanti minuti da titolare e dovendo migliorare in molti fondamentali. La storia di questi anni ha detto invece il contrario: uscito da Milano nel dicembre 2016, ha passato la stagione scorsa a metà tra Panathinaikos, con cui ha vinto la coppa di Grecia, e Hapoel Gerusalemme senza particolarmente brillare. Quest’anno alla Virtus Bologna con alti e bassi e poi l’infortunio alla mano. Doveva essere l’estate decisiva, tra il ritorno in nazionale dopo la mancata convocazione agli Europei 2017, e la Summer league in maglia Houston, ma ha dovuto rinunciare a tutto a causa dell’infortunio e della necessaria operazione.
Ora si apre la porta del Veteran Camp, dopo anni di speranze, illusioni, partenze e ripartenze, non solo logistiche ma anche tecniche. Nel 2016 sognava l’Nba, perse anche la fascia di capitano dell’Olimpia. Il Texas può segnarne il rilancio e la consacrazione. Sarebbe il settimo italiano a giocare oltre oceano. Carpe diem Alessandro.
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