Megan, la capitan America ribelle che sfida Trump

Megan Rapinoe
di Romolo Buffoni
2 Minuti di Lettura
Giovedì 27 Giugno 2019, 09:30
Megan Rapinoe fin quando ha potuto sulle note di The Star-Spangled Banner si inginocchiava, solidale con Colin Kaepernick e gli altri giocatori della Nfl di football americano. Lei, calciatrice, fra i primi atleti bianchi a sposare nel 2016 la causa degli atleti afroamericani che protestavano contro l’amministrazione Trump indifferente alle brutalità della polizia sulle persone di colore. Poi la federcalcio statunitense ha imposto giocatori di stare in piedi e cantare l’inno, allora Megan ha scelto l’assoluto silenzio. E con le labbra serrate si è fatta riprendere anche ai Mondiali di Francia, dove con i suoi gol ha trascinato la nazionale a stelle e strisce ai quarti di finale. Gli Usa domani sera sfideranno a Parigi la Francia con i favori del pronostico, che vede le americane in grado di concedere il bis della Coppa vinta in Canada quattro anni fa. «Penso che l’atteggiamento della Rapinoe non sia appropriato», l’ha bacchettata Trump. A stretto giro di posta la replica a gamba tesa di Megan: «Non andrò alla fottuta Casa Bianca nel caso dovessimo vincere il Mondiale se fossimo invitate, cosa di cui dubito». Lampo che ha incendiato la polemica con il Presidente: «La Rapinoe dovrebbe vincere e poi parlare - ha twittato The Donald -. Non l’abbiamo neanche ancora invitata. Megan non dovrebbe mancare di rispetto al nostro Paese, alla Casa Bianca e alla nostra bandiera di cui dovrebbe essere orgogliosa».
C’è da dire che la Rapinoe, 33 anni, non è l’unico atleta che negli States non tiene un atteggiamento solenne durante l’inno. La campagna #taketheknee partita dal football è sconfinata nella Nba, con proseliti del calibro di LeBron James e Steph Curry e nella musica con l’appoggio di Stevie Wonder, coinvolgendo anche la Nike aspramente criticata da Trump per aver scelto come testimonial Kaepernick. Ma Megan, apertamente lesbica, in prima linea per la difesa dei diritti e la lotta alle discriminazioni e diseguaglianze, compresa la lotta per il “pay equality” con la Us Soccer per rendere i compensi delle calciatrici uguali a quelli dei calciatori, ha l’identikit ideale per riaccendere la “guerra” dello sport Usa a Trump.
© RIPRODUZIONE RISERVATA