Inclusione, pari opportunità, diritti umani e diritti dei lavoratori sono indicatori del livello sociale e culturale di un paese. Oggi questo, vuole essere il mio punto di osservazione. Si sa che i Mondiali di calcio muovono una quantità enorme di denaro, interessi politici e economici. L'organizzazione dei Mondiali, a parte nel 2010 in Sudafrica e nel 1994 negli USA, è sempre stata affidata a paesi di grande tradizione calcistica. La candidatura del Qatar sembrava la meno possibile per diverse e tante ragioni. Perché quindi è stato scelto il Qatar?
Come ha fatto un paese grande come una nostra regione a battere la concorrenza di una super potenza come gli USA? Al Ansuari, capo della sicurezza qatariana, in un'intervista al Times, ha dichiarato che in Qatar l'omosessualità è un reato ma, comunque, sono vietate le effusioni in pubblico a prescindere dall'orientamento sessuale. In pratica le autorità fanno scudo con le proprie tradizioni religiose contrastando i messaggi di inclusione, accettazione, rispetto di cui il calcio, come ogni sport, si fa portavoce.
La costruzione degli stadi e delle infrastrutture, si parte da zero, diventa un affare da miliardi e vanno costruiti in fretta. Visto l'esiguo numero degli abitanti in Qatar è richiesta una grande manodopera straniera. I contratti dei lavoratori, provenienti da India, Bangladesh, Nepal dipendono interamente dai datori di lavoro che hanno, su di loro, un enorme potere che può portare anche a pesanti limitazioni delle libertà personali. Amnesty International ha denunciato realtà non conformi agli standard di umana convivenza sollevando anche la volontà di qualcuno di boicottare la manifestazione. Certo è che questi Mondiali hanno già perso prima ancora del fischio d'inizio. Dal 2010 ad oggi sono morti 6500 lavoratori, si tratta di decessi per infarto causato dal caldo di uomini al di sotto dei 35 anni. La Fifa? Riconosce solo 3 morti da lavoro e si prodiga di banali giustificazioni: si può passare sopra a tutto questo?