Un mese fa, non volevamo nemmeno vederlo questo Mondiale del Qatar. Diritti calpestati, proteste silenziate, operai (morti) dimenticati e - innanzitutto, siamo onesti - l’assenza della nostra Nazionale, impegnata nel giorno inaugurale del torneo iridato in una tristissima amichevole (persa, ovviamente) a Vienna con l’Austria. Un mese dopo, (quasi) pronti a festeggiare un altro Natale in tempi di crisi, fiaccati nel corpo e nello spirito non più dal Covid ma dall’influenza peggiore di sempre, con la prospettiva poco esaltante di rituffarci nel calciomercato e nella nostra amata Serie A, abbiamo i lucciconi perché il Mondiale è finito e non possiamo goderne più. Alzi la mano chi ieri non avrebbe pagato di tasca propria perché quel meraviglioso concentrato di emozioni, gesti atletici, colpi di classe, scariche di adrenalina pura che è stata Argentina-Francia, dal calcio d’inizio al rigore di Montiel, non proseguisse per tutta la sera, la notte, il giorno successivo. Non proseguisse per sempre. Come un videogioco, che si può ripetere all’infinito, ma con dentro i sentimenti della vita umana. Diciamocelo francamente: questo Mondiale del Qatar è stato un balsamo sulle cupezze delle nostre vite precarie e stanche, sulle ferite laceranti che i prematuri addii a Sinisa Mihajlovic e Mario Sconcerti hanno provocato in queste ore nei cuori di noi sportivi.
Per carità, le contraddizioni di un torneo organizzato nel deserto (ma chi si è lamentato delle temperature?), sotto Natale (i regali li abbiamo fatti ugualmente, chi se lo può permettere), in un Paese che ha un concetto molto discutibile della democrazia, per mano di un’organizzazione - l’ormai celeberrima Fifa - che ha fatto un po’ di tutto per imbavagliare il dissenso, restano tutte. E - a futura memoria, perché l’Arabia Saudita è in agguato - non andranno dimenticate. Ma - anche qui - alzi la mano chi ieri pomeriggio, mentre Messi e Mbappé ci deliziavano come due pugili danzanti, nobilissimi interpreti di un’arte, il calcio, che ai massimi livelli sa essere nobile come il pugilato che fu, abbia pensato per un solo istante anche solo ad uno dei motivi per cui, un mese fa, ci dicevamo (senza crederci troppo già allora): chissà se accenderemo la tv (o apriremo l’ipad). Diciamoci un’altra verità, senza vergognarcene: quest’ultimo strabiliante atto del torneo ci ha riconciliato con la vita, mentre tutto quello che era venuto prima - ricordiamo: il coraggio degli iraniani, la sfrontatezza dei giapponesi, il futbol bailado (finché è durato) del Brasile, la resilienza di Modric e dei croati, l’epica dei marocchini - ci aveva riconciliato con il calcio.
E la finale di ieri, bè... è riduttivo (anche se verissimo) definirla la più bella finale mondiale di sempre.