Matteo Berrettini: «Ho pensato di lasciare il tennis. La cattiveria social mi ha ferito, chi mi amava ha cominciato a odiarmi senza motivo»

Il tennista: «Io odio perdere, ma ho sempre usato la sconfitta per migliorarmi. Per me è un motore più grande della vittoria

Matteo Berrettini: «Ho pensato di lasciare il tennis. La cattiveria social mi ha ferito, chi mi amava ha cominciato a odiarmi senza motivo»
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Domenica 6 Agosto 2023, 09:06 - Ultimo aggiornamento: 7 Agosto, 08:30

Da bambino giocava con il Lego. Era disordinato. Viveva nel suo mondo e stava bene così. A il Corriere della Sera, Matteo Berettini si apre, racconta il suo tennis. Come ha iniziato, come è continuato tra alti e bassi. Un ritorno da applausi dopo un periodo lungo di grandi difficoltà. 

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Matteo è uno dei nostri migliori tennisti. Lo è grazie ai suoi genitori, che erano e sono soci in un circolo di tennis, lo è diventato grazie a suo fratello. «A otto anni ho ripreso la racchetta e non l’ho mai più posata. Mio nonno, a ottant’anni, gioca ancora, è proprio una malattia di famiglia». Ha superato quel senso di fatica e ora si diverte anche. A Matteo piace prendersi responsabilità, «essere ragione del destino di una gara, caricarmi sulle spalle interamente il peso di una vittoria o di una sconfitta». Ma perdere a volte aiuta. «Io odio perdere, ma ho sempre usato la sconfitta per migliorarmi. Per me è un motore più grande della vittoria. Non sentirmi più in quel modo, non provare quella rabbia o quella frustrazione, talvolta umiliazione, mi spinge a cercare il modo per rimuovere quell’errore, quel difetto che mi ha fatto perdere una partita o un torneo».

 

Il dolore fisico e mentale

Il fisico, soprattutto nell'ultima stagione non l'ha aiutato. «Ho vissuto troppi strappi mentali e fisici.

Ci sono stati dei momenti in cui la mia testa e il mio corpo non erano allineati, chiedevo troppo all’uno o all’altro. Clinicamente è stato uno strappo dell’obliquo interno. Credo di aver chiesto troppo al mio corpo. (...) Se la testa si illude di stare bene e il corpo sta male, si paga il prezzo che ho pagato».

E quando non ha potuto fare quello che più gli piace ha ceduto anche la testa. La sua forza e così ha conosciuto il "buio". «E il buio sembra non avere fine, sembra ti inghiotta perché invece di stare fermo e rifiatare, ti scavi da solo un abisso. Sono stati momenti brutti, che non mi sono piaciuti. Ma sono stati fondamentali per farmi ritrovare le ragioni della gioia di fare quello che ho iniziato da bambino e che ha occupato tutta la mia vita. Ho ripensato alle origini per ritrovarmi. Il buio mi ha dato lo spazio per farlo».

I commenti social

A rendere tutto più difficile i social. Una brutta cosa gli odiatori, chi ti giudica, chi crede di permettersi di offendere senza sapere. «Mi sono accorto che il mio stato d’animo cambiava in relazione al tono di cento persone che scrivevano i loro legittimi, ma spesso ingiusti, commenti che arrivavano direttamente nelle mie mani. Mi sono accorto che il mio umore aveva il dovere di dipendere da ben altro».

Un trattamento che non si aspettava, che lo ha ferito profondamente: «Mi sembrava ingiusto che, per qualcosa che atteneva al mio fisico, dovessi ingurgitare tanta cattiveria. Che tutti quelli che avevano tifato sparissero o si tramutassero improvvisamente in giudici o odiatori. In fondo sono stato bloccato dal mio corpo dolente e ho tentato di reagire con tutte le mie forze. Ho pagato io il prezzo più alto. Ecco, questa elementare solidarietà mi è mancata. Mi ha ferito non trovare questa sensibilità».

«Ho pensato di mollare»

E tante volte ha pensato anche di farla finita con il tennis. Un pensiero comune quando non puoi giocare, sei bloccato da continui infortuni. E al Corsera ammette che ci ha pensato tante volte. «Nel 2020 ho avuto un’annata complicata e ricordo di aver fatto il pensiero, che mi aiutava a dormire, di prendere il passaporto, non dire nulla ad anima viva e fuggire dove nessuno avrebbe potuto trovarmi. Mi è capitato di pensarci, nei giorni bui. Pensavo ma perché devo subire tutta questa pressione, il senso di colpa per il mio corpo ferito... La vita è una, non ha repliche. Ma poi il tempo, il confronto con gli altri mi hanno fatto capire che io sono felice solo se scendo in campo e respiro quell’atmosfera. E sono infelice se non lo faccio: è una magnifica condanna...».

L'amico

Una condanna che vive felicemente con Lorenzo Sonego. Tennista come lui. Ma prima di tutto un amico vero, sincero come si è dimostrato sul campo e fuori. «È l’unico con cui abbia un rapporto che supera il campo. Siamo coetanei, abbiamo fatto lo stesso percorso e ci stimiamo. Quando mi ha battuto seccamente a Stoccarda, il giorno in cui tornavo a giocare, alla fine non ha esultato. Io ero completamente fuori di me e lui mi ha detto “Mi dispiace”. Significava “Mi dispiace vederti così”. Quando poi ho vinto io, a Wimbledon, lui a fine partita mi ha abbracciato, mi voleva dire che con me desiderava sempre giocare così, da pari a pari. Quel tipo di sensibilità non è diffusa. Nel tennis. Ma non solo».

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