I 50 anni del Rieti Rugby: emozioni sul filo dei ricordi insieme ai campioni che hanno fatto la storia della città

I 50 anni del Rieti Rugby: emozioni sul filo dei ricordi insieme ai campioni che hanno fatto la storia della città
di Nazareno Orlandi
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Mercoledì 10 Dicembre 2014, 17:12 - Ultimo aggiornamento: 20:01

Rugby a Rieti: dagli allenamenti di via San Liberatore al fango del Fassini, dalla serie A degli anni Ottanta all'arrivo della nazionale. È una storia reatina di botte e sani principi, birre e rispetto, ossa rotte e sentimenti intatti, una galleria di personaggi infinita, generazioni di rugbisti che si legano come fossero trincerati nella stessa mischia. Cinquant'anni di mete amarantocelesti.

Cinquantatré, per l'esattezza, ma gli Old, i vecchi saggi, hanno deciso che era arrivato soltanto adesso il momento giusto per celebrarli. Cinquant'anni e spiccioli dal 1961, quando Paolo Vaccari, rugbista, romano ma originario di Morro Reatino, scelse di fondare una squadra a Rieti, illustrò il progetto al Circolo di Lettura del Flavio e raccolse le prime 62 adesioni. Lo fece insieme ad Antonio Fabiani. Non si presentò nessuno ai primi allenamenti in via San Liberatore, davanti alla palestra del liceo Classico dove poi sarebbe iniziata anche l'epopea del basket, molto più romanzata in città. I pionieri all'inizio fecero fatica, facevano collette per raccogliere fondi. La passione che cresce con gli anni, milizie di ragazzacci senza paura che si stringono, si prendono a sportellate, mangiano polvere e sudore, roba che solo chi ha giocato lo sa.

C'è il racconto del tessuto industriale della città, sulle maglie raccolte nella mostra sotto gli archi del Municipio, aperta tutto il giorno: la Snia Viscosa, la Texas Instruments, la Centralmotor. E la Brina grazie a Renato Milardi: come nella pallacanestro, di cui il rugby è tipo un fratello poco coccolato. Ma anche per gli sporchi-brutti-e-cattivi c'era la serie A. Quella vera, il massimo campionato. Una stagione sola. Era il 1981. Vittoria ai playoff in un memorabile spareggio a Calvisano, con la camminata nervosa dello storico presidente Fulvio Iacoboni, che per la tensione non vide la partita ma rimase fuori dallo stadio e cercò tutto il tempo un ristorante per comprare vino: serviva per i festeggiamenti.

Una stagione contro le grandi piazze di Treviso, L'Aquila e Roma.

E poi gli anni degli stranieri. Il fenomeno australiano Tim Lane. O quella volta di Francia-Australia vista dagli Arieti in tv di sabato pomeriggio, con l'estremo degli wallabies Greg Martin - oggi prima voce di Fox Sport in Australia - che era in campo e incredibilmente è stato ingaggiato da Rieti il giorno dopo, con il tramite dell'amico che giocava a Colleferro. Erano gli anni dello spostamento al campo di Villa Reatina, quando il Fassini si rifaceva il look per diventare la casa del rugby. E poi Italia-Scozia nel '96, allo stadio, con una tribuna sola, la partitissima voluta dagli Arieti. Vittoria (storica) contro gli scozzesi, l'autobus a due piani in piazza del Comune, l'Europa che scopre gli azzurri ovali e comincia a considerarli degni del Sei Nazioni. Un momento chiave, come racconta Valerio Vecchiarelli, giornalista ed ex giocatore, nel libro "50 - Storie di Uomini e di Rugby", che riannoda i fili di cinque decenni.

"Questa squadra, fino a un certo punto, ha rappresentato un mondo a sé - racconta - La città li ha sempre visti con scetticismo: i pazzi del rugby, ci chiamava la gente. La svolta c'è stata con Italia-Scozia, quando i reatini hanno cominciato a conoscerci. Prima era uno sport per pochi: i matti, e le loro mamme che avevano paura di portare i figli nel fango del Fassini". Chi se n'è andato e chi c'è. Dino Giovannelli, giocatore, allenatore e poi dirigente. Mimmo Ubertini e Filippo Carucci. L'azzurro e campione d'Italia, Alfredo De Angelis, i nazionali giovanili Franco "Stellino" De Angelis, Renzo Ammiraglia, Alessandro Fagiolo, Alessandro Gunnella e Gabriele Formichetti. Loro, ma altri centinaia di quei "matti", anni e anni con quel pallone "sbagliato" tra le mani, quello che rimbalza male e non bisogna tirare in un canestro ma che, della città, ha costruito i muscoli. E i valori.

Scorrono fiumi di emozioni e di birra, si mischiano aneddoti e ricordi di amicizie sacre e indistruttibili, cinquant'anni di rugby sintetizzati in un pomeriggio vissuto da grande famiglia. Al teatro Flavio ci sono loro, le vecchie glorie della palla ovale di Rieti, senza maglietta sbrindellata e pantaloncini sporchi di fango ma con il nodo alla cravatta ben fatto, quel nodo che presto si scioglierà nell'euforia della cena-terzo tempo alla Foresta. C'è Paolo Vaccari, lo storico fondatore del movimento cittadino, sempre restio ai riflettori ma convinto in extremis dal comitato: "Il rugby è 25 per cento tecnica, 25 per cento tattica e 50 per cento amicizia", sentenzia in un teatro strapieno di ex giocatori e dirigenti, di pionieri del rugby e delle loro famiglie, tutti riuniti per celebrare una lunga storia di fatica e valori: "Questo sport è entrato nel tessuto connettivo della città".

Nella serata condotta da Roberto Guidobaldi e dalla firma del rugby del Corriere della Sera Valerio Vecchiarelli, sono saliti sul palco anche il sindaco Simone Petrangeli, il capitano della nazionale che giocò a Rieti nel '96 Massimo Giovanelli, decine di figure storiche degli Arieti guidate da Dino Giovannelli ("Vorrei essere qui anche per il 75esimo...", si è augurato), la squadra della serie A del 1981-82 del capitano Umberto Montella, il sindaco di quegli anni Ettore Saletti, la squadra di oggi di coach Turetta. Ci sono anche gli stranieri.

Dall'Australia arriva Greg Martin, dopo un viaggio durato due giorni, bloccato a Singapore e poi sul Raccordo: "Amo Rieti, ho un ricordo bellissimo". Franco D'Orazi mette in fila gli aneddoti e intrattiene la platea, che intanto sfoglia le pagine con il libro di memorie raccolte da Vecchiarelli. Sullo schermo passano le emozioni delle battaglie epiche di viale Fassini e le clip inviate dagli atleti stranieri che sono transitati per Rieti.

Il fondatore Vaccari rievoca come tutto nacque: "Era il giorno di Santa Barbara, io e Antonio Fabiani telefonammo all'allora delegato Coni Raul Guidobaldi e gli spiegammo il nostro progetto di fare una squadra a Rieti. Poco dopo cominciarono i primi allenamenti a San Liberatore". Poi una stoccata alla società attuale: "Abbiamo cominciato in serie C e vi ritrovo in serie C. Non è possibile che ancora si prendano penalizzazioni perché non si fanno i campionati giovanili...". Si risalirà. Una storia così lunga merita di più.

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