Johan, fuoriclasse delle parole: «La cosa più difficile è giocare un calcio semplice...»

Johan, fuoriclasse delle parole: «La cosa più difficile è giocare un calcio semplice...»
di Benedetto Saccà
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Giovedì 24 Marzo 2016, 16:07
Ha accompagnato il calcio nella modernità, Hendrik Johannes Cruyff, detto Johan. È stato il timoniere di una mutazione. Ma alla grandezza del calciatore pienamente universale, bisogna annotarlo, si è sempre appoggiata la brillantezza di un pensiero capace di frequentare il futuro. Sapeva abbinare il gesto tecnico all’intelligenza, Cruyff. E interrogare le menti. Un’infinità, le frasi celebri. Del resto Cruyff amava conoscere le tante sfumature dell’indice dell’esistere.

Si racconta addirittura che da giovane avesse l’abitudine, in aereo, di irrompere in cabina per consigliare ai piloti il miglior modo per atterrare sulle piste dell’aeroporto Schiphol di Amsterdam. Fenomenale. Come ben intagliate nella solidità sono le molte massime che ci ha lasciato. «Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia», sussurrava. «Alla radice di tutto c’è che i ragazzini si devono divertire a giocare a calcio», ricordava, certo parlando anche per esperienza diretta. «Non è il buono contro il cattivo e fare in modo che vinca il buono. Il senso del calcio è che vinca il migliore in campo, indipendentemente dalla storia, dal prestigio e dal budget», spiegava.

E ancora. «Se non puoi vincere, assicurati di non perdere», diceva da allenatore. Perché, d’altronde, «la qualità senza risultati è inutile. I risultati senza qualità sono noiosi». A noi italiani ha regalato una definizione sibillina. Quindi vera, per forza. «Gli italiani non possono vincere ma contro di loro puoi perdere...». Quanto a Mourinho, ecco, di lui aveva un’opinione piuttosto critica, e forse era l’amore per il Barcellona a produrre (e a non colmare) il divario. «Mourinho è un ottimo allenatore, ma non ha mai giocato a calcio. Gli manca qualcosa e si vede. Quelli come noi che hanno giocato alcuni dettagli li notano».

Con la genialità dei miti, ascoltava molto, ma preferiva affidarsi all’istinto o alle regole dettate dal proprio universo. «Le persone che non sono del mio livello non possono intaccare la mia integrità», si sfogò, un giorno. «Una delle cose che ho capito da bambino è che quelli che più si divertivano a insegnarti qualcosa erano coloro che meglio dominavano il pallone, mentre quelli capaci solo di entrare sull’avversario, di piazzarsi in campo per fare ostruzione e di tirare pedate, non avevano nulla da insegnare, anche se, temo, avrebbero avuto molto da imparare». Manca già a un calcio che lo piange, Cruyff. «Ma io, in un certo senso, forse, sono immortale...».
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