La Lazio si scopre indifesa. L'assenza di de Vrij è una tegola per Pioli non ha mai battuto la Juve

La Lazio si scopre indifesa. L'assenza di de Vrij è una tegola per Pioli non ha mai battuto la Juve
di Alberto Abbate
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Mercoledì 15 Aprile 2015, 05:53 - Ultimo aggiornamento: 08:48
Può davvero tornare la banda dei meno nove... Dalla vetta. Toccate ferro e forgiate un'altra impresa. Scacciate questi maledetti presagi: la Juve ha segnato 30 gol a Pioli, nessuno lo ha punito di più nella sua carriera. E ora dovrà difendersi allo Stadium, dove i bianconeri segnano da 46 gare consecutive, senza de Vrij: tre assenze sinora, tre ko. Sembra una iattura, ma questa Lazio ormai si esalta nelle difficoltà. Non le soffre, le plasma nel segreto del suo successo. Due sole reti subite nelle ultime otto vittorie consecutive, tre in 10 partite, con il doppio confronto di Coppa Italia col Napoli. Così si lucidano nuovi amuleti. Tornerà Mauricio, col portoghese in campo la Lazio ha perso una sola gara (col Cesena) su 12 presenze (3 in Coppa): 24 punti in campionato. E anche Cana con l'Empoli ha dimostrato affidabilità: strepitoso l'intervento da dietro su Maccarone al 46', il top player per anticipi (7) e disimpegni (8 su 8) dell'ultima giornata biancoceleste. Illuminata dalla grinta di ben 34 tackle e dalla rivincita delle seconde linee: squalificato Cavanda, riecco Basta a Torino, Lulic potrebbe assaporare il bis a destra. Dipenderà dal rientro di Radu: oggi (ripresa alle 15) è atteso in gruppo, il rumeno, mister 2,10 punti a partita. A proposito, Berisha ha parato la scaramanzia: con o senza Marchetti mascherato, la porta ora è più sicura. E comunque inviolata. C'è il muro d'un popolo intero.

IL TABÙ

Calamitati almeno un migliaio di tifosi – nonostante l'obbligo della tessera – sabato sera in trasferta. Questa Lazio ormai è una droga. E' narcotica la felicità, persino Pioli ne sente l'odore. Così i suoi pensieri diventano cannibali: Stefano vuole mangiarsi la Juve, l'unica squadra in A che non ha mai battuto nella sua carriera d'allenatore. Sarà stato forse inibito dalla riconoscenza o magari solo da un terribile scherzo del fato. Perché Stefano esordì nella massima serie proprio con la Vecchia Signora a 18 anni: giocò 57 partite tra il 1984 e il 1987, vincendo uno scudetto, una Coppa Campioni (3 presenze tra primo turno, quarti e semifinali nel 1984/85) e una Coppa Intercontinentale (entrò in campo a Tokyo al 20' s.t. al posto di Scirea contro l'Argentinos Juniors, poi superato ai rigori). Sicuramente allora imparò cosa significa giocare sempre per vincere. Alla Juve è l'unica cosa che conta, alla Lazio conta quanto lo spettacolo.

LA RIVINCITA

Andershow must go on. Trascorsi estate e inverno a cercare le stelle, adesso c'è una Lazio-Felipe al secondo posto. Non vuole mica la luna? Dodici punti di distanza, servirebbe forse l'apocalisse bianconera per intravedere un tricolore. Ma ora è meraviglioso masticare sogni e liberare speranze. Con un algoritmo di 8 vittorie e 8 trasferte in gol consecutive, c'è una sbornia matematica. E pensare che, senza pallottoliere, Pioli aveva già incastrato l'amore biancoceleste con un semplice brindisi: “Vola Lazio vola”. Un sommelier così merita perlomeno un calice stracolmo d'acquasanta da gettare sul suo ultimo e personale tabù. Su una panchina, Pioli non ha mai battuto i bianconeri: 6 pareggi e 10 sconfitte, Coppa Italia compresa, con Chievo e Bologna. L'ultimo ko del 22 novembre con la Lazio, poi, ancora non l'ha digerito. Quei tre gol di scarto all'andata all'Olimpico, non li ha mai mandati giù: “Ora siamo un'altra squadra”, ha bisbigliato subito dopo l'Empoli. Non vede l'ora di rigiocarsi il destino con la Juve. Senza mezzo brivido di paura e magari con tre punti di sutura.